Da Gerusalemme p. Romanelli è in contatto costante con il vice-parroco e i fedeli ospitati nella parrocchia. Le molte richieste a Israele di poter tornare “cadute nel vuoto”. Egli è “voce e memoria” delle vittime cristiane e di quanti soffrono. Serve una tregua, a Gaza si muore anche per una influenza. “Un minuto in più di guerra” comporta “altri morti, feriti, malati non curati, distruzione”.
Gerusalemme (AsiaNews) – I cristiani vivono “sentimenti contrapposti” perché, da un lato, considerano la chiesa, la parrocchia “un luogo sicuro” nonostante i bombardamenti ma, dall’altro, sono “angosciati” per i “segnali” che giungono “dall’esterno: [Israele] continua la guerra, non vi sono prospettive di tregua” e i missili “si fanno sempre più vicini”. È quanto racconta ad AsiaNews p. Gabriel Romanelli, il parroco della Sacra Famiglia a Gaza, bloccato a Gerusalemme (prima ancora a Betlemme) e impossibilitato a tornare nella Striscia dell’inizio del conflitto per la chiusura delle frontiere imposta da Israele. I raid dell’aviazione e le operazioni sul terreno dell’esercito, prosegue, sono “ormai arrivate nella zona della parrocchia” tanto da “ferire quattro persone colpite dalle schegge” oltre a vari danni materiali: pannelli solari sui tetti, in particolare l’ex asilo dove oggi dormono centinaia di persone, al cui interno entra acqua per le tegole rotte, come pure nella sala adibita ad archivio della parrocchia. Centrati anche una cisterna e il tetto di una delle strutture delle suore di Madre Teresa. Bambini e adolescenti all’interno stanno bene – sottolinea p. Romanelli – ma hanno perso la scorta di acqua e la pioggia di questi giorni penetra all’interno”.
Intanto anche fra i cristiani aumentano le vittime fra decessi collegati alla guerra e morti per l’impossibilità di cure mediche, almeno 22 sinora: “Nell’attacco alla chiesa greco-ortodossa – ricorda il parroco di Gaza – sono morte 18 persone, di cui 17 cristiani e un musulmano. Dopo alcuni giorni una signora, anch’essa ferita nei bombardamenti. Poi l’anziana colpita dai cecchini israeliani, il cui corpo è stato recuperato a distanza di giorni durante la breve tregua. E ancora, due uomini di cui uno nei primi giorni della guerra e un secondo, rifugiato in parrocchia, morto perché mancava una sala dove poterlo operare. Infine, un’ultima vittima nel sud, un luogo che si diceva sicuro: un uomo di 34 anni, che non ha potuto spostarsi nella parte nord della Striscia per essere operato di appendicite, che è degenerata uccidendolo”.
Bombe e crisi igienico-sanitaria stanno creando le condizioni per una “tempesta perfetta”, come denunciano in questi giorni organizzazioni internazionali. “Oggi chi si ammala a Gaza – conferma p. Romanelli – in modo anche solo in minima parte serio rischia di morire, mancano cibo e acqua potabile. Poi iniziano a farsi sentire anche il freddo e l’umido” perché la temperatura arriva o scendo sotto i 10 gradi, mentre nei rifugi di fortuna, in chiesa e nei saloni di parrocchia e asilo “dove la gente dorme per terra, sopra materassi improvvisati, non vi è il riscaldamento”. “Anche una influenza – spiega – rischia di causa problemi gravissimi”.
Prima da Betlemme e oggi da Gerusalemme, il parroco vuole essere “voce e memoria” di queste persone che soffrono o che muoiono. “Sanno di non essere abbandonati – afferma p. Romanelli, parlando dei sentimenti con cui i parrocchiani vivono queste settimane di guerra – e sono uniti ai 2,3 milioni di abitanti della Striscia accumunati da una enorme sofferenza”. “Le telefonate quotidiane di papa Francesco, anche quando stava male e aveva poca voce, sono – prosegue il sacerdote – elemento di grande conforto e sostegno. Come pure la solidarietà e la vicinanza del patriarca [di Gerusalemme dei latini Pierbattista] Pizzaballa Ma vi è anche profonda delusione perché la comunità internazionale non riesce a trovare un accordo per una tregua che faccia cessare le bombe e favorisca l’ingresso di aiuti e medicine, anche nel nord dove vi sono 400mila persone. Perché i pochissimi aiuti vanno al sud, ma nella zona settentrionale non arriva nulla. La richiesta comune è di lavorare per la pace e la giustizia, oltre alla liberazione dei prigionieri” nelle mani di Hamas.
In questo contesto di conflitto, violenze e sofferenza, i cristiani della Striscia si apprestano a vivere il Natale che, un tempo, era un momento di festa. “È sempre un momento speciale – sottolinea p. Romanelli – ma oggi vi è anche grande tristezza e angoscia perché non dico la pace, ma non si riesce nemmeno a giungere a un cessate il fuoco. Un mese, una settimana, un giorno… anche solo un minuto in più di guerra significano altri morti, feriti, malati non curati, distruzione che già è enorme. Serve quantomeno una tregua permanente, come già avvenuto in passato quando vi sono stati conflitti” anche se, ammette con profonda tristezza il sacerdote, oggi a prevalere sembrano essere solo i venti di guerra.
In passato queste giornate per i cristiani di Gaza erano caratterizzate dalla visita del patriarca, con la messa celebrata alla Sacra Famiglia nella domenica precedente il Natale. “Quest’anno – racconta il sacerdote argentino del Verbo Incarnato – aveva pensato di fermarsi tre giorni e da mesi stavamo preparando l’evento. La prima comunione e le cresime di bambini e ragazzi, altri ancora vestiti da cardinale [in omaggio al neo porporato] e da santi con cartelli che raccontano la loro storia, fino alla visita ai malati e agli adulti che vivono soli… tutti eventi troncati dalla guerra. Oggi non è nemmeno possibile uscire dalla parrocchia, perché il pericolo di vita è reale”. P. Romanelli vive “con sofferenza” queste settimane di conflitto e di lontananza: “Più volte abbiamo chiesto di poter rientrare” alle autorità israeliane, ma ogni appello è caduto nel vuoto. “Ciononostante, continuiamo a lavorare per la pace – aggiunge – e a raccontare quanto avviene in parrocchia. Sono in Medio oriente da 28 anni, la prima visita nella Striscia risale al 2005 e da quattro anni sono parroco a Gaza, conosco una a una le vittime cristiane, non ultimo un giovane padre di 30 anni che ho visto la prima volta quando era poco più che bambino”. Il sacerdote ci lascia ricordando le vittime e rinnovando la preghiera per la pace: “Certo Israele conta 5400 feriti oltre alle 1200 vittime circa [la gran parte delle quali nell’attacco di Hamas del 7 ottobre, che ha innescato il conflitto nella Striscia], ma a Gaza i feriti palestinesi sono già oltre 50mila, compresi molti bambini con amputazioni, mentre i morti superano quota 18.600, di cui 7mila minori… basta, basta, basta!”.
(Foto di una celebrazione in parrocchia, dalla pagina Facebook di p. Romanelli)
Fonte : Asia