Bandiera è il nuovo singolo di Giulia Mei, brano che ci introduce nel nuovo progetto di questa artista siciliana, brano che per la sua forza ho già definito epocale. La canzone nasce come uno sfogo da donna. Ma quello che Giulia declina al femminile è in realtà l’urlo di una umanità che non è libera.
Giulia partiamo ovviamente da Bandiera: come è nata e quale è il confine tra una canzone e un flusso di coscienza?
Qui il confine è molto labile perché è un flusso di coscienza e così è nata. Racconta un malessere e un disagio, quello di tornare una sera a casa e non sentirmi al sicuro. Mi era già capitato ma quella volta è stato particolare e andava sublimato in qualche modo e il mio racconto si declina con la musica. Racconto il mio essere donna e quell’aspetto che mi crea disagio e mi fa chiedere in quanto donna, se non sono libera di tornare a casa tranquilla, quante altre libertà mi vengono negate?
La cover che hai scelto ha fatto discutere parecchio: la mia interpretazione è che lo slip-bandiera sia la protezione della donna verso un mondo solo giudicante. E tu hai avuto il coraggio di trasformare in bandiera l’origine della vita.
Funziona nel senso che io semplicemente ho voluto raccontare la forza della donna e l’orgoglio di esserlo. Ho voluto portare il suo simbolo e mostrarne tutta la sua forza, (di)mostrare quanto la donna sia forte e non abbia paura di nasconderla. E’ il manifesto del mio progetto: se ti nascondi perché hai paura di qualcosa nascondi la tua essenza e boicotti la tua femminilità.
L’incipit è una citazione da Giorgio Gaber, giusto? Tu scrivi “libera, voglio essere libera” mentre lui scrive “voglio essere libero, libero come un uomo”. Quel che mette tristezza è che quel brano è del 1970. Nulla è cambiato?
E’ preoccupante non tanto che la mia frase sia attuale ma che quella di Giorgio Gaber sia così schifosamente attuale. Bandiera parla di me donna ma anche delle persone in generale. Siamo coinvolti in un cammino infinito che fa paura ma pensare che c’è ancora grido di rivoluzione umana dà speranza. A me piace raccontare la mia visione nella musica, scrivo messaggi condivisibili da tutti, messaggi di cambiamento e chiedo di lavorarci insieme durante il cammino per fare arrivare lontano la nostra rivoluzione.
Nel finale invece dici che “quando la guerra sarà finita, ritorneremo tutte alla vita”: è uno sogno? Una speranza? E’ una missione?
Tutte queste cose insieme. Le guerre sono tante ogni giorno nella nostra quotidianità. Poi ci sono le guerre vere. Penso alle donne del Medio Oriente, per quelle che la libertà l’ hanno di plastica ma l’hanno ma anche a chi non ne ha nessuna. Vorrei una unica donna che urla forte.
In questo tuo viaggio nel mondo della musica hai mai rimpianto che “potevo fare l’avvocato c’era un posto già pronto per me”?
L’avvocato no perché non saprei cosa fare. Ma lo ho scelto come lavoro simbolo che trasmette la sicurezza e che assicura la confort zone, quegli status che ti aiutano a portare avanti la vita. Potrei ricercare situazioni professionali più tranquille e invece ogni giorno mi ricostruisco da capo; sono in una fase della mia vita dove devo provare fino in fondo quello che mi sono ripromessa, se non dovesse andare la rimodulazione avverrà col cuore leggero.
Riascoltando Kundera e ripensando alle tue parole “amore, perdono da oggi io non sono più chi sono” ci ho visto i primi segnali di Bandiera, uno spaesamento consapevole. Ci sta come interpretazione?
Assolutamente li vedo. Questa è una canzone di auto-determinazione. Qui mi definisco come donna e come persona e cerco di capire cosa significa diventare adulti e se è possibile. Bandiera completa questo viaggio, Kundera era la canzone dei vent’anni, Bandiera è dei 30: ora so almeno quello che non sono.
Anni fa, a Musicultura, ha raccontato di una bellezza che si misura con i parametri del cuore: la pensi ancora così o sei un po’ più disillusa?
Più disillusa ma non è necessariamente negativo, l’occhio è un po’ più aperto e auto-ironico ma ora so che i parametri del cuore sono affiancati da altri contaminati da una realtà stroboscopica.
Chiudi A Mia Madre con i versi “muteresti la rotta, gireresti il timone o ti basta una figlia che ti canta una canzone?”: dopo avere ascoltato Bandiera credi che forse preferirebbe una figlia che non canta una canzone?
Parlare di mia mamma mi commuove. Per me è tante cose nel bene e nel male. Ha la preoccupazione di una figlia in un’altra città, teme che non abbia una realizzazione professionale ma poi vive con grande orgoglio la mia determinazione e la mia scelta di vita. Mi ha sempre sostenuto anche se in maniera controversa. E comunque crede in me.
Chi è oggi il piccolo uomo che ti guarda negli occhi e ne rapisce i segreti? Ha una sua fisionomia o resta un Destinatario Inesistente?
Esiste un piccolo uomo e anche un grande uomo che mi guarda e riesce a raccogliere ciò che sono e riesce poi a sostenerlo; e se lo ridimensiona lo fa in modo più bello. Importante è il confronto umano, ci sono aspetti di noi che ci sfuggono e vengono raccolti da qualcun altro. E’ una fortuna trovare uno che ti sa raccogliere ma serve anche impegno, ci sono distanze, attese e strade che non sempre si incontrano. Oggi so che l’amore può essere più in alto o in basso di come si idealizza, ma è l’autenticità che lo rende quello che è.
Una canzone si intitola Kundera, una la dedichi a Roberto Vecchioni che è anche poeta e scrittore, ne La 600 (tutta rotta) citi Exupery tratteggiando l’amore perfetto: quanto la letteratura e la poesia ti sono compagne nel processo creativo?
Moltissimo perché hanno un punto di vista sempre inedito. Vecchioni, Guccini, De André e Gaber fanno letteratura in musica. Sono realtà parallele che raccogli, elabori e fai tue. Oggi so quello che non voglio nella mia vita e anche quello che non voglio essere. Ci sono autori per me fondamentali e penso a George Sand, per la sua forza di donna e per l’ironia. In Umberto Saba mi ci ritrovo, mi piacciono le sue metafore tra città e amore e penso a Palermo e al mio amore impossibile.
Cantautrice palermitana va bene, ma perché tendente al Prosecco come dici su instagram?
Ne sono dipendente. E’ il lato un po’ folle della mia vita, ma ti assicuro che sono stravagante anche da astemia.
Diventeremo adulti è del 2019 e sta finendo il 2023: oggi ti consideri una adulta?
No la lo sono rispetto a quando lo scritto. Non è un concetto anagrafico, conosco molte persone che non sono adulte. E’ complesso da spiegare, per me diventi adulto dopo una serie di consapevolezze. Voglio essere bambina come George Sand.
Che accadrà nei primi mesi del tuo 2024 artistico?
Arriverà il nuovo album al quale sto lavorando da un po’. Bandiera è il primo momento. Sarà un album più adulto da tanti punti di vista, oggi mi guardo più attorno, raccolgo più stimoli che diventano contaminazione e sfociano in una sperimentazione più mirata. Sarà più adulto perché parlerà di una persona cresciuta con la speranza che resti il lato infantile. Ma soprattutto spero sia bello!
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BANDIERA – IL TESTO
Libera, voglio essere libera
di non portare o portare un velo
truccarmi tantissimo,
non depilarmi per mesi, per anni.
Libera, voglio essere libera
di uscire la sera, tornare da sola
senza la paura
persino del tipo della spazzatura.
Di fare un figlio anche quarant’anni
di divorziare e poi risposarmi
amare un uomo con dieci anni in meno
che mi vuole bene, bene davvero
fare l’amore, girare un porno
cambiare letto pure ogni giorno.
E di morire come mi pare
non massacrata da un criminale
non dalle pietre di un titolista
né dalle carte di un penalista
dai timorati figli di Dio
che sputano merda e premono invio.
Della mia fica faró moneta
o simulacro di nuova vita
delle mie mani faró cantieri
o fragilissimi tulipani
della mia vita faró una bandiera
che brillerà nella notte scura
della mia vita faró una bandiera
che brillerà nella notte nera.
Libera, prima o poi sarò libera
quando la guerra sarà finita
ritorneremo tutte alla vita.
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Fonte : Sky Tg24