Cosa ci lascia il 2023 ai fini della conclusione del conflitto in Ucraina? Ci lascia in una situazione di stallo tattico, in gran parte dovuto all’esaurimento delle scorte e alle condizioni meteorologiche, e in una di contemporanea evoluzione operativa, che lascia un numero di opzioni aperte per la campagna dell’anno 2024.
Innanzitutto la mia previsione: come tutti ricorderanno, avevo dato 51% di probabilità che la controffensiva ucraina sortisse l’effetto di far crollare l’esercito russo entro il 2023, e il 49% che questo si verificasse nel 2024. Se qualcuno desidera classificarlo come un fallimento, va benissimo; lo stesso dicasi per la scommessa sui carri armati: avevo predetto che ne sarebbero stati consegnati 300 entro il 31 marzo, ne sono stati consegnati 280. Quando su previsioni tattiche si gioca sui numeri esatti, sbagliare ci sta: 300 carri armati o 280 in realtà cambia molto poco, ma una scommessa è una scommessa e non si discute che l’ho persa. Diverso è il discorso quando si parla di previsioni belliche: lì non conta il numero esatto, ma la tendenza generale.
Come va la guerra in Ucraina
Il punto era che si sarebbe condotto l’esercito russo sull’orlo del collasso con un’operazione che ne avrebbe logorato gravemente il potenziale; e questo è accaduto. Mi rendo conto che il mio tentativo di spiegare il concetto di “orientamento al nemico” nel condurre un’operazione militare non è stato colto da molti: è indubbiamente un concetto difficile, e la gente vuole sentirsi indicare obiettivi individuabili su una carta geografica in modo da poter assegnare la palma della vittoria in maniera inequivocabile, perché in un mondo complesso anela alla semplificazione.
Purtroppo in guerra non esistono scorciatoie, e la via della vittoria di solito è lunga e dolorosa, e la valutazione del progresso è estremamente difficile.
Cerchiamo di capirci: l’esercito russo ha un enorme potenziale dovuto alle sue dimensioni. Ma un enorme potenziale non si traduce automaticamente in un altrettanto enorme capacità: occorrono fattori qualitativi e tecnici per convertire il potenziale in capacità. Un po’ come disporre di grandi riserve di idrocarburi ma senza possedere le capacità tecniche o economiche per estrarle (caso dell’attuale Venezuela per esempio, dove la popolazione muore di fame e il dittatore di turno minaccia guerre improbabili per recuperare consenso). La mancanza di questi fattori tecnici e qualitativi (carenza di ufficiali in ruolo di istruttori o di comandanti, basso morale, equipaggiamenti carenti o di scarsa qualità, linee logistiche troppo deboli, incapacità di impiegare il potere aereo, economia strozzata, eccetera) fa sì che il grande potenziale russo non si traduca in risultati sul campo.
Tutto ciò che l’esercito russo riesce a fare è montare assalti basati su ondate umane successive in una singola direzione tattica (Avdiivka) con risultati risibili rispetto alle risorse impiegate. Ora, questa mancanza di fattori tecnici e qualitativi è dovuta in parte alle sanzioni occidentali, e in parte proprio al risultato della controffensiva ucraina. Questo fatto inoppugnabile (l’esercito russo nel 2022 era molto capace, e adesso non lo è più) sembra sfuggire alla gran massa dei commentatori, che al contrario si affannano a ripetere che tanto le sanzioni quanto la controffensiva ucraina siano “fallite”. Ma se fosse vero, allora l’offensiva russa ad Avdiivka dovrebbe essere travolgente… Come mai non lo è?
Un’operazione offensiva (o controffensiva) si conduce per modificare in proprio favore una situazione esistente; pertanto perché questa si possa definire “fallita”, occorre che la situazione alla sua conclusione non si sia modificata a vantaggio di chi l’ha eseguita, o peggio che sia peggiorata. Esempi di offensive fallite sono le offensive d’estate tedesche del 1942 (Stalingrado) e del 1943 (Kursk): in entrambi i casi le perdite tedesche sono state superiori a quelle sovietiche in termini relativi, e si sono concluse con un peggioramento della situazione sul campo con la perdita di vasti territori.
Ci sono poi le offensive che riescono parzialmente: sono quelle che si concludono con una situazione finale sul campo migliore di quella iniziale, ma senza aver raggiunto tutti gli obiettivi prefissati. Un esempio è l’offensiva alleata della Somme nel 1916: lo scopo dichiarato era recuperare la “guerra di movimento”, respingere i tedeschi dal nord della Francia e dalla costa belga, e nessuno di questi risultati venne raggiunto; però il logoramento reciproco fu estremamente elevato, gli alleati recuperarono del terreno (il “Saliente di Noyon”), e soprattutto si alleggerì la pressione tedesca nella contemporanea battaglia di Verdun. Strategicamente il risultato fu che la Germania perse la superiorità numerica e soprattutto qualitativa di cui disponeva inizialmente, e con essa l’iniziativa sull’intero fronte Occidentale. L’esito della battaglia è ufficialmente considerato così come “indeciso”, e decisamente non come una sconfitta; nel contesto del conflitto, la campagna tolse definitivamente l’iniziativa alle Potenze Centrali in Occidente.
La controffensiva ucraina è finita, cosa succede ora
L’esito della controffensiva Ucraina del 2023 potrà essere definitivamente giudicato solo al termine del conflitto, ma sicuramente non può essere definito come un “fallimento”: al massimo come “indeciso”. Dal punto di vista strategico però, ha debilitato l’esercito russo in una misura rilevante, che si evince proprio dall’andamento dei suoi attacchi ad Avdiivka, che sono condotti con le modalità tipiche di un esercito che opera con molti uomini ma per il resto in condizioni di inferiorità qualitativa molto pesante, come i giapponesi nel Pacifico o gli iraniani nel Golfo. Condizioni ripeto, che all’inizio del conflitto erano opposte.
Ma allora perché tutta questa enfasi mediatica sul “fallimento” ucraino e sull’imminente “vittoria” di Putin? Perché su un fronte diverso da quello militare, i russi stanno vincendo. Stanno vincendo la guerra informativa, condotta con gli strumenti “ibridi” di cui sono maestri e che sono così letali soprattutto nei nostri (occidentali) confronti.
Le normali dinamiche di politica interna sia occidentali che ucraine (in particolare nei Paesi che si avvicinano a scadenze elettorali come gli USA e la stessa Ucraina) vengono lette e rivendute come segnali inequivocabili di collassi imminenti che vanno a nascondere quelli molto più reali in campo russo (sono le Izvestija a dettagliare il crollo dell’economia russa, mica il Kiyv Post). E purtroppo l’umore popolare in Occidente è tale che si presta volentieri il fianco.
Lo stesso “fronte mediatico” filo-ucraino si è rotto, con gran parte dei suoi rappresentanti impegnati a gridare contro il presunto “tradimento” occidentale, rilanciando proprio gli stessi argomenti della propaganda ibrida russa, tendente da quasi due anni a parlare di uno “sganciamento” americano che non avrebbe alcun senso e di cui non si vedono riscontri reali se non nell’atteggiamento dell’opposizione parlamentare (non certo del governo), peraltro divisa fra trumpiani effettivamente desiderosi di interrompere il sostegno, e conservatori che invece accusano Biden di non fare abbastanza.
Certo che si sperava che l’esercito russo collassasse nel 2023: la delusione è comprensibile. Ma trasformare questa delusione in disfattismo è esattamente quello che la propaganda russa si propone; e se la delusione è comprensibile, il disfattismo non lo è, perché la situazione fra maggio e novembre non è affatto peggiorata per l’Ucraina: al contrario è migliorata, perché è peggiorata – e di molto – quella russa.
I dati sull’economia russa sono di pochi giorni fa, ma quasi non se ne parla; al contrario il dibattito in seno al Congresso USA, dove parte dei repubblicani legano l’approvazione degli aiuti all’Ucraina a misure anti-immigrazione che Biden respinge, è letta assurdamente come una “cessazione” del sostegno americano. Una lettura che aiuta solo Putin.
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Il collasso di un esercito non è affatto semplice da misurare: è quasi impossibile. Quando avviene, sorprende tutti, compresi i suoi quadri che pure sarebbero nella posizione migliore per vederlo arrivare. Esso è frutto di una serie di fattori combinati, quali le perdite in combattimento, la situazione economica in patria, il morale di civili e militari, la coesione istituzionale e la prospettiva visibile di successo da parte dei combattenti.
L’esercito russo in particolare è andato soggetto a collassi clamorosi e a successi incredibili in circostanze diverse ma tutte altrettanto drammatiche. Nel 1911 e nel 1917 è collassato, mentre nel 1812 e nel 1941 ha resistito. In tutti e quattro i casi le perdite umane sono state spaventose in termini assoluti e soprattutto in termini relativi (alla popolazione e all’avversario). Da osservare però che nel 1812 e nel 1941 la Russia era l’aggredito e rischiava l’annientamento, mentre nel 1911 e nel 1917 la nazione russa non rischiava la distruzione ma solo la caduta del Regime. Non è un dettaglio da poco, considerata la situazione attuale.
Fonte : Today