A volte le storie migliori sono quelle semplici. Come la nuova epopea di un giovane e acerbo Wonka, che porta il volto e le movenze sinuose di Thimotée Chalamet, una figura diversa dall’eclettismo dei suoi predecessori cinematografici. Non è sagace, pungente e sarcastico come Gene Wilder, e nemmeno astratto, misterioso e lunatico sulla falsa riga di Johnny Depp. È una via di mezzo, un incontro tra due epoche che si plasma per rendersi spendibile alle nuove generazioni, ai bambini, agli adulti un po’ disillusi: è semplicemente un sognatore, dolce, ingenuo, ammantato di quella tenera follia che diventa leitmotiv di tutto il film, nelle sale tra i film di dicembre con Warner Bros.
Una dolce storia di origini
“Io ho un sogno, avere un sogno“. Mi si perdoni questa dissacrante contaminazione con un altro cult che con La fabbrica di cioccolato, e tanto meno con Willy Wonka, non ha niente a che vedere. Ma mi sembra calzante per definire la psicologia di questo giovane protagonista, del quale Paul King (regista dell’amato Paddington) tratteggia una storia d’origini romantica e agrodolce.
È il racconto, per l’appunto, di un giovane Willy, che arriva in una nuova città con nient’altro che una valigia e il cuore stracolmo di sogni, ambizioni e bei desideri. In realtà un obiettivo concreto il ragazzo ce l’ha: perseguire la passione di sua madre, scomparsa anni prima, per il cioccolato, aprendo un negozio di dolciumi nella zona più prestigiosa e popolata della città, la Galleria Gourmet. Ma Willy impara sin da subito che soldi e popolarità non piovono dal cielo: deve fare i conti con una perfida e radicata gilda di commercianti che, negli anni, ha fondato un vero e proprio “cartello del cioccolato”, rendendo vano qualunque sforzo di fare fortuna (e quindi rubare clienti e visibilità) a tutti gli aspiranti imprenditori. E quindi il nostro Wonka deve vivere alla giornata, costringendosi ai lavori forzati nella lavanderia di un ostello. Ma non rinuncia ad arrendersi, e con un gruppo di nuovi amici è più determinato che mai a rendere il suo sogno una dolce e squisita realtà.
Seppur in alcuni spunti di trama possano emergere alcune sfumature drammatiche, peraltro tendenti a raccontare certe tematiche sociali quali criminalità, corruzione e usura (Willy si ritrova infatti prigioniero dei proprietari dell’ostello, che lo ingannano ricoprendolo di debiti da saldare), Wonka è un’avventura leggera, deliziosa, patinata e sopra le righe senza mai risultare eccessiva.
È chiaramente un titolo che si rivolge ai più piccoli: tutti i personaggi, anche i cattivi, sono macchiette, fanfaroni, maschere. E lo sono nel modo più buffo possibile, ma comunque ammantati di una comicità stratificata: abbastanza demenziale per i giovanissimi, ma spesso anche sottile e pungente per un pubblico più maturo. Wonka è insomma, da un punto di vista della scrittura, un film su più livelli, che parte dall’ingenuità e dalla magia per arrivare all’autoironia. Un equilibrio sorretto in primis dall’ottima prova di Chalamet, che incarna l’eroe positivo, ingenuo e sognante di cui abbiamo bisogno. Ma anche dalla dolcezza di Calah Lane, che interpreta la piccola Noodle e dalla stravagante malvagità della perfida signora Scrubbit di un’inedita Olivia Colman; per non parlare della prova divertita, scanzonata e coerentemente svogliata dell’Umpa-Lumpa di Hugh Grant, che conferma tutto il proprio potenziale memetico facendosi mascotte dell’intero lungometraggio.
Un perfetto film di Natale
Tutti elementi che, da un punto di vista narrativo, danno forma ad un film dai tratti disneyani, e che per questo configurano Wonka come il perfetto titolo di questo Natale 2023. Soprattutto per il suo concedersi così apertamente ad una concreta (e molto presente) parentesi musical. L’opera di Paul King infatti ci mette pochissimo, già dai primi minuti, a mostrare la sua natura gioiosa e musicale: in Wonka, letteralmente, si canta e si balla in ogni scena, ad ogni svolta di trama. La musica permea la caratterizzazione di ogni volto, dal protagonista ai comprimari finanche ai villain, al punto che comprendo benissimo quanto questo aspetto possa risultare invasivo per coloro che non digeriscono il genere.
Eppure, per chi si lascia cullare da note e balletti, Wonka è una “comfort zone” perfetta. Infarcito di buoni sentimenti, come il dolce più squisito del buffet, allegro e orecchiabile per quanto concerne le canzoni (con un adattamento in italiano efficace che, purtroppo, deve prestare il fianco ad un lip-sync tutt’altro che perfetto). Ma soprattutto brillante nella messinscena, colorato ed esplosivo nelle coreografie.
È, in definitiva, quel film che puoi amare oppure odiare, a seconda di cosa aspettarsi. Che, per chiudere il cerchio e tornare al discorso iniziale, è qualcosa di lontano dalle precedenti incarnazioni di Willy Wonka. È un cioccolataio più pop che mai, che parla con efficacia ai più piccoli, ma riesce a colpire anche i grandi. Lasciando un bel sorriso stampato sul volto per quasi due ore, di quelli che rimangono dove aver gustato dell’ottimo, genuino e dolcissimo cioccolato.
Fonte : Everyeye