The Crown, come la monarchia, è stato in parte enigma e in parte promessa mancata

Con l’arrivo degli ultimi sei episodi il 14 dicembre su Netflix, si conclude definitivamente la parabola di The Crown. La serie creata da Peter Morgan (già abituato a ritratti reali come nel caso di The Queen con Helen Mirren) aveva debuttato nel 2016 divenendo subito un fenomeno globale: mai il racconto della monarchia britannica, e soprattutto della vita della regina Elisabetta, era stato raccontato sullo schermo con tanto pathos, preziosità produttiva ma soprattutto ingegno narrativo. Fin da subito The Crown si è imposto come lo standard qualitativo di un nuovo tipo di serialità di pregio che non lesinava di coraggio né di budget per affrontare con qualità, realismo e arguzia alcuni dei temi di più scottante attualità. Perché, lo si voglia ammettere o meno, la Corona d’Inghilterra è ancora oggi, e forse mai come oggi in maniera innovativa e imprevista, sulla bocca di tutti. Anche grazie a questa serie.

Il sipario sulla serie

Siamo arrivati dunque alla sesta e ultima stagione e in questi otto anni sono cambiate tantissime cose. Innanzitutto è venuta a mancare quella che è il soggetto principale del racconto, ovvero la regina Elisabetta. La morte della longeva sovrana nel settembre 2022 ha in qualche modo cambiato il paradigma non solo del mondo, ma anche di questa stessa serie, che ha dovuto chiudere i set per alcune settimane ma soprattutto ha dovuto far fronte a una specie di incantesimo ormai infranto. Col passare delle stagioni, e con l’avvicendarsi dei vari cast (la regina è stata interpretata prima da Claire Foy, poi da Olivia Colman e ora da Imelda Staunton), diventava sempre più evidente un fatto: più ci si avvicinava al tempo presente, e quindi ai fatti che tutti abbiamo più o meno conosciuto da telegiornali e tabloid, più The Crown perdeva la sua area mitica e forse un po’ mistica. Quella che all’esordio sembrava una fiaba fuori dal tempo, quella di una regina che ha stupito il mondo con la sua tenacia, è diventato un racconto fin troppo attuale e forse in qualche modo scandalistico.

Queste ultime due stagioni hanno un po’ confermato questa sospensione dell’incredulità ormai scemata. Il quinto ciclo di episodi, incentrato praticamente sui problemi matrimoniali di Carlo e Diana, è sembrato molto più disomogeneo e meno brillante dei precedenti, persino inessenziale. Questo nonostante interpretazioni magistrali, in particolare quella di Elizabeth Debicki nei panni di una Diana adulta ma tormentata dalle sue fragilità e dall’invadenza del mondo. Lo stesso la prima parte della sesta stagione, che in quattro episodi ha raccontato con un certo tatto, gli ultimi anni di Lady D fino al tragico incidente del 1997, sono sembrati una lunga parentesi. Se prima questa era la serie di Elisabetta II, negli ultimi tempi le si è preferito altri membri della Casa reale, molto più notiziabili. Non è un caso che, sempre nella sesta stagione, gli ultimi episodi parlino con insistenza del principe William (Ed McVey) e del suo fidanzamento con Kate Middleton (Meg Bellamy).

Una grande forza e qualche debolezza

Probabilmente non ha aiutato, ma qui scendiamo nel giudizio prettamente personale, il casting di Staunton per interpretare l’ultima Elisabetta: pur confermandosi, anche in questo frangente, un’attrice di talento straordinario, forse è fin troppo riconoscibile e la sua figura si sovrappone costantemente con la monarca che interpreta. Foy era praticamente un’esordiente, Colman ha fatto un lavoro di trasformismo incredibile, in Staunton invece rivediamo molti suoi ruoli del passato, e anche qui l’incanto si spezza (è successo anche in stagioni precedenti, quando attrici molto carismatiche come Helena Bonam Carter e Gillian Anderson superavano l’illusione dei loro ruoli, rispettivamente quello della principessa Margaret e quello di Margaret Thatcher).

Fonte : Wired