Nello Taver, nome d’arte di Vincenzo Siciliano da Casalnuovo di Napoli, si è raccontato in un’intervista per l’uscita di Fallimento, il suo primo album ufficiale.
Nello Taver, foto di Filippo Florindo
Nello Taver, aka Vincenzo Siciliano da Casalnuovo di Napoli, è un aggregatore: teatro, cinema, musica, ma soprattutto un’identità nel tone of voice della sua comunicazione che non poteva che stuzzicare un pubblico eterogeneo della scena rap. Dopo aver pubblicato il suo primo disco ufficiale, Fallimento, lo scorso 10 novembre, sembra aver dato più sfumature al suo personaggio, anche attraverso un docu-film che, come un musicarello, si spinge in dettagli sempre più grotteschi del mondo della musica, con Milano come capitale di un movimento che ha gambe troppo magre per sostenere un busto così pesante. Nello Taver si è evoluto, anche rispetto ai precedenti Ep, anche perché dietro la maschera dell’intrattenitore ad ogni costo, c’è un elemento di denuncia che, in passato, è stato coperto dal suo personaggio. Qui l’intervista a Nello Taver.
Che cos’è Fallimento?
Un progetto che accompagna un cambiamento personale. Nasce tra Brusciano e Casalnuovo, ma durante la sua creazione, mi sono trasferito a Milano. Cercavo un nuovo input, una fiamma. In quel periodo siamo venuti a Milano a cercare casa e l’abbiamo trovata, anche quello è stato un duro lavoro. Infatti non è stato facile lavorare al disco con tutte le energie che richiedeva fare un trasferimento.
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Quindi per non farti mancare nulla, anche un docu-film.
Una volta finito il disco, Lussorio mi dice: “Perché non facciamo un film per lanciare il disco?”. All’inizio pensavo fosse una cosa detta lì…
Invece?
Il giorno dopo arriva con lo sceneggiatore e tanti altri. Sono riuscito a realizzare due sogni in un solo disco: in tutto questo, rispecchia anche una parte più conscious del mio percorso.
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Non sembra esserci traccia di Fallimento in questo percorso.
Infatti, in un disco che parla della narrazione tossica della vittoria, del successo nel mondo del lavoro, io ho fallito perché mi sono impegnato per raggiungere questo successo. Sono entrato nella trappola dello star system.
In questa equazione rientra anche Milano.
Milano è business. Ti giuro che non vedo l’ora di scendere a Napoli per un mese intero a Natale, mancano pochi giorni. Milano mi ha dato tanto dal punto di vista lavorativo, ma in creatività mi mancano scene di quotidianità che vivevo a Napoli. Qui i progetti e le idee si discutono a tavolino, mentre a Napoli ti ritrovi nei quartieri a parlare del futuro.
Con disco, film e un passato in teatro, rispecchi il ruolo dell’entertainer statunitense, capace in più dimensioni artistiche.
Io ho fatto teatro a Napoli con Fabio Balsamo (The Jackal) come insegnante, anni fa. Quando ho deciso di cercare una casa discografica che mi accompagnasse nel percorso, ho cercato qualcuno che fosse interessato non solo alla parte musicale, ma anche all’intrattenimento e al cinema.
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C’è stato un momento, in passato, in cui la tua attività sui social, ha ristretto, di molto, il tuo personaggio musicale?
Sì, in Italia o fai l’influencer, o fai l’attore o fai musica: solo singoli ruoli. Personaggi come Childish Gambino, a cui non mi paragono, sono riusciti a scrivere serie come Atlanta, ma anche brani come This is America. Fortunatamente negli ultimi anni si sta sdoganando abbastanza la situazione, con molti musicisti che stanno spingendo su TikTok la loro musica per essere virali.
Dopo i due Ep e il film, che accoglienza ha avuto Fallimento?
Non pensavo venisse compreso così presto. Molti fan, ma anche artisti, mi hanno scritto che non si aspettavano un disco così maturo, soprattutto negli ultimi tre pezzi.
Ti sei preso molto più sul serio, anche senza volerlo?
Ho trattato argomenti importanti, anche con ironia, ma non solo con quella. Si discosta molto dai primi due progetti che erano molto fini a sé stessi.
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Hai sentito la paura di fare un disco “apparentemente vuoto”?
Diciamo che ho cercato di lanciare un messaggio più forte, anche perché ho lavorato quasi due anni solo su un disco. Per me doveva avere un concept e il vero fallimento sarebbe stato ripetere un lavoro fine a sé stesso.
E qui entra in gioco anche una certa intimità personale che scopri in Fallimento: è stato difficile raccontare sé stessi?
Credo che più che scriverli, sia stato difficili farli ascoltare. Cioè mi è venuto più facile scrivere uno storytelling piuttosto che Carmelo freestyle, anche perché era piena di punchline. Per esempio, mia madre non ha ascoltato Nelluccio Story fino all’uscita del disco: sapeva che ci sarebbero state solo 10 tracce.
Come ha reagito?
Si è messa a piangere.
C’è qualcosa di cui ancora non vuoi parlare, che ti spaventa ancora troppo per metterlo in un brano?
Ci sono ancora tante cose da raccontare, anche per non dare tutto e subito. Devo fare un sacco di dischi e affrontiamo un trauma alla volta (ride n.d.r).
Nel disco, ma anche prima, avevi collaborato con rapper italiani come Clementino, Guè, Inoki, ma anche Speranza. Cosa ha significato per te?
Non avrei mai pensato a una cosa del genere. Penso a Clementino con cui sono cresciuto, ma anche Gué: quando mi ha mandato la strofa ho dovuto farla ascoltare a mia cugina, che da piccolo me l’aveva fatto scoprire.
E invece c’è qualcosa che ti ha infastidito/infastidisce dell’ambiente?
Principalmente i soldi: credo sia stato importante fare questo progetto con persone con cui volevo lavorare. Mi erano arrivate altre proposte che avevano capito appieno la mia persona, il mio progetto, la mia visione, la vita.
Mentre nel rapporto con la musica?
Ti faccio un parallelo con la professione dell’attore e non intendo sminuirla assolutamente, perché è difficilissima. Come attore, ti danno il copione, studi il personaggio e qualcuno scrive per te. Invece con la musica il processo è diverso. Devi sempre partire da zero e ci sono volte in cui non ci sei mentalmente: a volte per una canzone ci metti un mese. Diventa tutto troppo instabile, non puoi affidarti a te stesso.
Ti è capitato?
Mi è capitato di non esserci con la testa quando dovevo fare un lavoro che mi era stato chiesto. Hai un’ansia continua di fare qualcosa forzata, come quando devi cacciare un pezzo prima del tour estivo e hai paura sia una cagata (ride n.d.r).
L’ansia per il fallimento?
Ecco, sì.
Dopo aver provato cinema, teatro, web e musica, qual è l’ambiente in cui ti senti più a tuo agio?
Le storie Instagram. Anche tra 40 anni, quando smetterò di fare musica e cinema, voglio fare intrattenimento per la gente che mi ha sempre seguito. Non credo che abbandonerò mai la parentesi social.
Hai mai pensato alla stand-up comedy?
Diciamo che già ai miei concerti c’è un momento per la musica e un momento per le mie stronzate. Dividere le due cose mi sembrerebbe un modo per snaturare le mie esibizioni, ma sto togliendo qualcosa anche al mio pubblico. Poi la stand-up in Italia mi sembra troppo sistemata, anche se la scena sta crescendo molto negli ultimi anni.
Come hai detto prima, c’è un lato intimo in Fallimento, ma anche in progetti del passato, in cui l’inquinamento, la Terra dei Fuochi, come tema, ha influenzato molto il tuo percorso di vita. Cosa significa per te?
Vivo con l’ansia di un tumore, anche perché in famiglia ho avuto più casi, ma in generale c’è molta gente attorno a me che si è ammalata così. È stato difficile affrontarlo nei brani, ma ancora più difficile discutere con persone del posto, soprattutto anziane, che ti dicono che queste cose accadono dappertutto, minimizzando.
C’è stato un momento in cui, almeno inizialmente, hai avuto paura che il tuo modo di esprimere quel messaggio, quasi coprisse il messaggio stesso?
No, semplicemente era un mio messaggio forte e chiaro.
Mentre come giudichi la continua denuncia ai testi dei rapper nelle ultime settimane/mesi?
Credo si ascolti ciò che si vuole: nessuno riporta le parole del rapper quando parla della Terra dei fuochi, della politica e della crisi sociale in Italia. Si parla di testi sessisti nel rap, ma nessuno va a tradurre i brani latino americani. Credo semplicemente che si parli di qualcosa che non si capisce veramente.
Temi l’ansia del palco?
Anche se ho fatto teatro in passato, quindi affrontando un pubblico come i genitori, gli amici del teatro, la nonnina che viene a vedere, per me la cosa più difficile è calcolare bene le energie in viaggio. Per me quelle 4 ore sono difficili da gestire, tra arrivo, check-in, una canna: cerco di essere perfettamente in forma ai live perché so di voler fare una buona impressione.
Esperienza traumatica?
Sono andato a fare il Redbull 64 Bars Live a Napoli e mi dissero: se non sbagli il freestyle sul palco, lo registriamo e lo mettiamo su YouTube. Stavo con un’ansia addosso assurda.
Poi l’hanno messo?
No (ride n.d.r).
Fonte : Fanpage