Nonostante gli sforzi diplomatici e la “moderazione” dimostrata dal movimento sciita al confine, resta lo spettro di un’esplosione regionale. Tra gli 80 e i 100mila abitanti dei villaggi di confine nel sud sono fuggiti in varie località più a nord del Paese. Un cessate il fuoco a Gaza la via per allentare la tensione anche in Libano. Restano i nodi irrisolti sul rispetto della Risoluzione 1701 per una fine delle ostilità alla frontiera.
Beirut (AsiaNews) – A oltre due mesi dall’inizio della carneficina a Gaza, la regione può pensare che sia tramontato il rischio di una escalation di vasta scala come si era temuto all’inizio delle ostilità, con la guerra lanciata da Israele in risposta all’attacco di Hamas? Possiamo sperarlo, ma non possiamo dire di esserne sicuri. Di certo, il detonatore di questo conflitto su vasta scala si trova in Libano. Hassan Nasrallah, segretario generale della milizia filo-iraniana Hezbollah, ha chiaramente enunciato i segnali che indicherebbero un allargamento della guerra, Egli ha invitato i giornalisti, desiderosi di ottenere anticipazioni sulle mosse future, di fissare l’attenzione “sul terreno”. La “linea rossa” è il tracollo militare di Hamas, che Hezbollah ha giurato di impedire in ogni modo. Tuttavia, e salvo grandi imprevisti, gli ambienti vicini al partito sciita ritengono che le capacità di resistenza del movimento palestinese che controlla la Striscia siano tutt’altro che esaurite, come Benjamin Netanyahu cerca di far credere, chiedendo ad Hamas di “capitolare”.
In attesa di una ipotetica vittoria israeliana, o di un cessate il fuoco a Gaza, Israele ed Hezbollah si rendono protagonisti, da una parte all’altra del confine israelo-libanese, di bombardamenti dolorosi, deterrenti, in linea di principio controllati. Ciononostante, le “provocazioni” si moltiplicano, come accaduto il 10 dicembre quando l’esercito israeliano si è accanito sul villaggio di Aïtaroun, con un quartiere raso al suolo dall’aviazione con la stella di David.
In realtà, la strategia di Hezbollah è quella di mantenere una scala graduale di violenza. Questa strategia di “contenimento” del conflitto risulta tuttavia costosa. Dal 7 ottobre, le violenze al confine israelo-libanese hanno causato più di 120 vittime in Libano, la maggior parte delle quali combattenti del movimento sciita, e almeno 15 civili tra i quali vi sono tre giornalisti, secondo un conteggio dell’Afp. Un soldato libanese è stato ucciso ieri da attacchi israeliani che, secondo il governo, hanno “erroneamente” preso di mira forze armate libanesi. Il sindaco di Taybé, il 78enne Hussein Mansour, è stato ucciso da una granata e Hezbollah ha annunciato la morte di due combattenti. Inoltre, tra gli 80 e i 100mila abitanti dei villaggi di confine nel sud sono fuggiti in varie località più a nord del Paese, in particolare a Tiro.
Fonti militari e diplomatiche assicurano che né Hezbollah né l’Iran vogliono uno scontro totale in cui sanno di non poter vincere. Per questo né la Repubblica islamica e nemmeno il suo satellite locale vogliono un confronto più ampio, anche convenzionale, in cui il Paese dei cedri pagherebbe il prezzo, grazie al controllo totale dei cieli da parte dello Stato ebraico.
L’opzione diplomatica
In cerca di una “vittoria”, il governo israeliano per bocca del suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha promesso la scorsa settimana “di allontanare Hezbollah oltre il Litani, sia attraverso un regolamento politico internazionale [l’applicazione letterale della risoluzione 1701, che ha messo fine alla guerra del 2006, ndr], sia attraverso un’azione militare”. Questa affermazione, che prende la forma di una minaccia, è in realtà una buona notizia. Essa rivela infatti che Washington ha convinto il suo alleato a dare una possibilità alla diplomazia. Da parte libanese fa intendere che Hezbollah non chiude la porta all’opzione, come comporterebbe il rispetto della risoluzione 1701 e un ritiro a nord del Litani dei suoi combattenti, in particolare della sua forza d’élite al-Radwan.
In cambio, secondo fonti vicine al presidente della Camera Nabih Berry, il partito sciita chiederebbe e otterrebbe da Israele il rispetto della risoluzione Onu 425 e la ripresa libanese del sobborgo di Shebaa occupato nel 1967. A questi si aggiungerebbero le 13 rettifiche della “linea blu” richieste dal Libano, il riconoscimento del punto costiero B1 in relazione al confine marittimo, nonché la fine della violazione dello spazio aereo libanese. Per Hezbollah un accordo basato sulla Risoluzione 1701 offrirebbe anche vantaggi politici interni. Obbligandolo a rispettare un determinato territorio di fronte a Israele, sancirebbe indirettamente il suo ruolo nella famosa “strategia di difesa” che tutti i partiti sovranisti libanesi invocano.
Per evitare la difficile scelta di lanciare una guerra globale, il movimento sciita libanese sembra quindi scommettere su una rinuncia israeliana a Gaza, che si tradurrebbe in un cessate il fuoco e non in una semplice tregua. Tuttavia il primo ministro israeliano chiede uno o due mesi in più per schiacciare Hamas, dove la situazione è già alle porte dell’inverno. La comunità internazionale lascerà che la popolazione di Gaza muoia di fame e di freddo per salvare la carriera politica di Netanyahu? È una domanda che oggi sembra rimanere senza risposta, proprio come gli appelli del segretario generale delle Nazioni Unite, dell’Unicef, Unrwa, dell’Oms e del Parlamento europeo.
Infine, il rispetto della Risoluzione 1701 non risolverà la questione della soluzione dei due Stati per la causa palestinese. L’insurrezione disperata, e in parte suicida, di Hamas il 7 ottobre è riuscita a riportare la causa palestinese al centro della scena. Ma non vi è orizzonte politico finché questo partito negherà il diritto all’esistenza di Israele. E finché Israele vorrà annientarlo. Ma ammesso che si arrivi al riconoscimento reciproco, che alcuni considerano “una chimera”, dove si insedieranno i palestinesi, vista la massiccia presenza degli insediamenti israeliani in Cisgiordania a cui Israele non pare disposto a rinunciare? Washington dovrebbe pensarci. Nel frattempo, secondo le parole del presidente della Camera Berry “se la violenza contro Gaza continua, ogni arabo si sentirà palestinese e ogni palestinese si sentirà membro di Hamas”.
Fonte : Asia