La sentenza di primo grado è stata ribaltata. C’è un nuovo capitolo giudiziario nel caso di Alex Cotoia, il giovane di Collegno (Torino) che il 30 aprile 2020 ha ucciso a coltellate il padre violento per difendere la madre nel corso dell’ennesima lite in famiglia. La corte d’assise d’appello di Torino lo ha condannato a sei anni, due mesi e venti giorni di reclusione. In primo grado era stato assolto per legittima difesa. Il ragazzo, all’anagrafe Alex Pompa, dal 2023 ha chiesto di usare il cognome materno (Cotoia).
“Deve essere assolto perché ci ha salvato la vita. Se vogliamo che qualcosa cambi, se vogliamo evitare che le donne continuino a morire e che non ci siano più casi come quello di Giulia Cecchettin, la sentenza non può essere questa”. È quanto ha dichiarato Loris Pompa, fratello del giovane. “Non siamo assolutamente d’accordo e andremo avanti”, ha concluso. “Alex – ha detto la mamma – non è un assassino. A questo punto mi chiedo se a qualcuno sarebbe importato davvero qualcosa se fossi stata l’ennesima donna uccisa”.
I giudici, tra l’altro, hanno disposto la trasmissione degli atti in procura perché si valutino le testimonianze rese dal fratello e dalla mamma dell’imputato. Il processo è ripreso dopo una pronuncia della Corte costituzionale, che ha permesso l’applicazione della prevalenza di alcune attenuanti rispetto alle aggravanti. La richiesta originale del procuratore generale era stata, infatti, di 14 anni. I giudici hanno applicato tre attenuanti: semi infermità mentale, provocazione e generiche.
“Incomprensibile” e “difficile da accettare”. Così l’avvocato difensore, Claudio Strata, commenta la sentenza. Il riferimento, in particolare, è alla trasmissione degli atti in procura perché si valutino le testimonianze della mamma e del fratello dell’imputato. “I due – osserva il penalista – erano già stati ascoltati separatamente la notte stessa del fatto. Per i giudici di primo grado erano stati considerati affidabili. I giudici d’appello sono stati di diverso avviso. E questo è difficile da accettare”.
Il ragazzo aveva spiegato di aver “dovuto” uccidere il padre perché altrimenti avrebbe rischiato di fare la fine di Jessica Malaj, la ragazza uccisa dal padre Taulant a Torremaggiore (Foggia) mentre lei cercava di difendere la madre. Suo padre era “un uomo ossessivo, morboso, violento. E i fatti di cronaca raccontano una verità spietata: gli uomini così prima o poi uccidono”.
Uccise il padre violento Giuseppe Pompa per difendere la madre
“Ho ucciso mio padre”. Inizia così, con una telefonata ai carabinieri, la storia di Alex, che aveva appena colpito il genitore violento con 34 coltellate, sferrate con sei coltelli diversi. Lo fece, secondo le testimonianze della madre e del fratello, proprio per difendere la donna, vittima delle continue violenze del marito. Il giorno dell’omicidio, infatti, Giuseppe Pompa aveva spiato la moglie al lavoro e si era infuriato perché un collega le aveva appoggiato una mano sulla spalla.
“Dopo averla chiamata 101 volte al telefono, non appena mia madre era rientrata a casa, lui l’aveva aggredita, sembrava indemoniato – avevano raccontato Alex e Loris -. Pensavamo che ci avrebbe ammazzato tutti”. Il pm Aghemo era stato “costretto a chiedere 14 anni di carcere”, proprio perché le norme per il codice rosso escludono la concessione di attenuanti a chi uccide un familiare. Ma la corte d’assise di Torino lo aveva assolto per legittima difesa.
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Fonte : Today