Chiede il suicidio assistito e muore con l’assistenza del SSN: è la prima in Italia

Alla fine Anna ha vinto la sua battaglia. La donna, una triestina di 55 anni affetta da sclerosi multipla secondariamente progressiva, aveva chiesto di accedere al suicidio assistito in Italia. Una battaglia legale, portata avanti dall’associazione Luca Coscioni, lunga mesi. Poi lo scorso settembre il via libera. I medici dell’azienda sanitaria locale hanno dovuto individuare il farmaco letale che la donna si è auto-somministrata a casa sua, lo scorso 28 novembre. 

Anna, afferma l’associazione Luca Coscioni, è “la prima italiana ad aver completato la procedura prevista dalla Consulta con la sentenza Cappato, con l’assistenza diretta del Servizio sanitario nazionale”. È la terza persona seguita dall’associazione ad accedere alla morte volontaria assistita in Italia, la quinta ad aver avuto il via libera. La prima in Friuli Venezia Giulia.

A seguito dell’ordine del Tribunale di Trieste, spiega l’associazione in una nota, “il farmaco letale e la strumentazione sono stati forniti dal Ssn e un medico individuato dall’azienda sanitaria, su base volontaria, ha provveduto a supportare l’azione richiesta nell’ambito e con i limiti previsti dalla ordinanza cautelare pronunciata dal Tribunale di Trieste il 4 luglio, e quindi senza intervenire direttamente nella somministrazione del farmaco, azione che è rimasta di esclusiva spettanza della donna”.

La 55enne, spiega Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’associazione Luca Coscioni, “è la prima persona malata che ha visto riconoscere, da parte dei medici incaricati di effettuare le verifiche sulle condizioni, che l’assistenza continua alla persona è assistenza vitale, così anche la dipendenza meccanica non esclusiva garantita attraverso l’impiego di supporto ventilatorio nelle ore di sonno notturno”.

Ma avviare una pratica simile in Italia è ancora una vera e propria battaglia legale. E non tutto riescono ad accedere a questa tipologia di suicidio assistito come sottolinea la segretaria dell’associazione Coscioni: “Emerge che, rispetto alla procedura eseguita di riscontro delle condizioni di una persona malata in Fvg, risulta non fondato e paradossale il diniego ricevuto invece nel Lazio da Sibilla Barbieri, anche lei dipendente da trattamenti vitali ma costretta a morire in Svizzera. Per la prima volta inoltre in Italia una persona ha avuto accesso all’aiuto alla morte volontaria interamente nell’ambito del Servizio sanitario pubblico a seguito dell’ordine di un giudice”.

La donna triestina, ripercorre l’associazione, si era rivolta alla “giustizia civile e penale” per ottenere l’applicazione della sentenza ‘Cappato’. “Aveva voluto personalmente – sottolinea Gallo – depositare dai carabinieri l’esposto contro l’Azienda sanitaria universitaria giuliana isontina e partecipare alla prima udienza civile in Tribunale a Trieste, che ha poi emesso una ordinanza di condanna di Asugi di applicare la sentenza della Consulta. L’azienda sanitaria ha dato applicazione alla decisione del giudice e, sussistendo tutte le condizioni indicate dalla Corte costituzionale con sentenza 242/19, si è fatta carico dell’intero percorso. Ha dunque messo a disposizione il farmaco, la strumentazione e il personale sanitario su base volontaria”.

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Fonte : Today