Un anno (anche) di errori da cui imparare

Il 12 dicembre è in edicola con Repubblica, La stampa e il Secolo XIX l’album di IT “Tech person of the year” in cui parliamo delle persone, delle aziende, dei gadget e delle idee che hanno segnato un anno di tecnologia

Il problema non è il fallimento: è non imparare nulla dagli errori commessi. Perché nella vita prima o poi cadiamo tutti: la differenza la fa come ti rialzi. Hai imparato la lezione? Se lo hai fatto, sarai più bravo quando ci riproverai. E quindi quali sono state le lezioni che abbiamo imparato dalla tecnologia nel 2023? Quali i fallimenti? Ne ho elencati alcuni.

  • La fine di WeWork (e del coworking): WeWork è stata una delle più celebrate startup del decennio passato, era arrivata a valere quasi 50 miliardi di dollari. E ha avviato la procedura per il fallimento. Le società falliscono perché il mondo cambia e quella che sembrava una idea vincente diventa obsoleta. Nel caso di WeWork l’idea era il coworking, il fatto di affittare una scrivania in un posto bello dove incontrare altre persone brillanti che avrebbero potuto far crescere il tuo business. L’ufficio condiviso era più di una scrivania in affitto, era una filosofia di vita che ha avuto moltissimo successo per un po’. Ma in seguito alla pandemia è l’idea stessa di ufficio ad essere entrata in crisi: per molti lavori lo smart working è diventato la regola.

  • La crisi di Cruise (e dei robotaxi). Cruise è stata fondata in un garage californiano nel 2013 da un giovane genio dell’intelligenza artificiale e della robotica, Kyle Vogt; e rivenduta due anni dopo per un miliardi alla General Motors. Obiettivo, sviluppare auto a guida autonoma. Anche Elon Musk diceva che nel 2020 le nostre strade sarebbero state invase di robotaxi. Non è andata così: le vetture di Cruise hanno fatto una serie di incidenti, Vogt ha minimizzato dicendo che è così che si addestra l’intelligenza artificiale, si è dovuto dimettere e la General Motors ha congelato gli investimenti. Se ne riparla fra qualche anno. 

  • Il declino delle criptovalute (e lo zero degli NFT). La condanna di Sam Bankman-Fried (cofondatore di FTX) e quella di Changpeng Zhao, meglio noto come CZ, cofondatore di Binance,  inducono, anche i più favorevoli all’innovazione, a chiedersi se abbiamo ancora bisogno delle criptovalute. Al di là dei reati finanziari emersi, il punto è: sembravano destinate a cambiare la finanza rendendola più democratica, accessibile e trasparente. E’ successo? Servono davvero al mondo? A 14 anni dalla prima transazione in bitcoin è il momento di fare un bilancio. Bilancio già fatto invece per gli NFT, i non fungible tokens, oggetti digitali unici, autenticati con blockchain e scambiati in criptovalute, che durante la pandemia raggiunsero quotazioni milionarie. Oggi il 95 per cento degli NFT in circolazione vale 0. Zero ethereum, zero dollari, zero euro. Sempre zero.

  • Il rinvio del Metaverso (e della realtà virtuale). Quando nell’ottobre 2021 Mark Zuckerberg lanciò il suo mondo virtuale con una presentazione spettacolare (cambiando il nome della holding di Facebook, Instagram e Whatsapp in Meta), la cosa sembrava imminente: presto ci saremmo trasferiti tutti in un metaverso e avremmo fatto le nostre vite con dei visori sugli occhi. Nel giro di qualche settimana nacquero centinaia di metaversi; alcuni si comprarono proprietà virtuali in questi mondi paralleli pensando che un giorno avrebbero avuto un enorme valore; e su LinkedIn spuntarono migliaia di “esperti del Metaverso”. Chiaramente non è andata così. Il che non vuol dire che i nuovi visori di Meta ed Apple non possano avere qualche applicazione utile, ma la diffusione di massa sembra lontana. Preferiamo ancora vederci di persona.

Fonte : Repubblica