Influenza, i primi passi verso un vaccino universale

Con l’arrivo della stagione dell’influenza, negli Stati Uniti gli epidemiologi si stanno concentrando in particolare su due dati: il numero complessivo di casi e il numero di persone che hanno fatto il vaccino antinfluenzale. Per il momento, sembra esserci un buon equilibrio tra le due tendenze. Nella maggior parte del paese il numero di malattie simil-influenzali – quelle cioè che causano febbre e mal di gola ma che non sono state confermate da un test di laboratorio – è infatti basso. Di tutti i campioni virali prelevati da persone malate e inviati ai laboratori, solo il 2% è risultato essere influenza. Più di 142 milioni di americani hanno già fatto il vaccino, esaurendo la maggior parte dei 156-170 milioni di dosi che i produttori avevano previsto di consegnare quest’autunno.

Ma c’è un altro dato che permetterà agli analisti di sapere come andrà questa stagione influenzale: se il vaccino funziona davvero. L’anno scorso, per esempio, negli Stati Uniti il vaccino ha riportato un’efficacia del 54%. L’anno precedente, invece, ha prevenuto la malattia solo nel 36% dei casi. Dal 2009, l’efficacia del vaccino oscilla tra il 60 e il 19%.

Questa variabilità è indice della sfida più grande nella lotta contro l’influenza: la mutazione incessante della malattia. Ogni anno i produttori di vaccini in ogni emisfero creano una nuova formula basata sulla versione in circolo in quel momento, senza però avere la mai certezza che il ceppo scelto in laboratorio rimarrà uguale dopo altri sei mesi in natura, o che al suo posto non se ne affermerà uno nuovo.

Così ogni estate, all’avvicinarsi della stagione influenzale nell’emisfero settentrionale, gli esperti di salute pubblica aspettano con ansia i dati. I produttori consegneranno il vaccino in tempo? Sarà preso da un numero sufficiente di persone? Quanto sarà efficace? E ogni anno, mentre osservano i numeri, alcuni di loro sperano nell’arrivo di qualcosa in grado di spezzare questo ciclo: un vaccino che funzioni indipendentemente dalle mutazioni del virus e che possa essere prodotto con sufficiente anticipo da evitare una crisi vaccinale in autunno.

Questo obiettivo è noto come vaccino universale per l’influenza. Per gli immunologi è una chimera da più di un decennio, un tesoro profondamente agognato che rimane sempre irraggiungibile. Recentemente, però, la ricerca di un vaccino antinfluenzale migliore ha ottenuto risultati promettenti. Un possibile candidato sviluppato negli Stati Uniti dai National institutes of health (Nih) è entrato nella seconda sperimentazione clinica di Fase 1, che serve a verificarne la sicurezza per l’uomo. Altri vaccini sviluppati da Moderna, basati sulla tecnologia mRNA che ha permesso il rapido sviluppo del vaccino contro il Covid, sono in fase 1/2 e in fase 3. Dei nuovi composti sviluppati dai team della Mount Sinai school of medicine e dell’Università della Pennsylvania, poi, hanno dato risultati promettenti nei topi. Sono tutte prodezze dell’ingegneria e dell’immaginazione, che sfruttano i più recenti strumenti della virologia contro un nemico antico.

Le principali sfide

Ma non sarà un’impresa facile. L’influenza è un virus insidioso e instabile che sfugge a un contenimento duraturo sin dalla diffusione del primo vaccino nel 1945. La difficoltà della sfida ha addirittura spinto alcuni degli scienziati a cambiare nome al traguardo che stanno cercando di raggiungere: “Abbiamo smesso di chiamarlo ‘vaccino universale contro l’influenza’ – racconta Masaru Kanekiyo, immunologo che dirige la sezione di immuno-ingegneria molecolare del Centro di ricerca sui vaccini dell’Nih –. Stiamo usando il termine ‘super vaccino stagionale’, che rappresenterebbe essenzialmente un miglioramento dell’attuale vaccino stagionale“.

Fonte : Wired