Anche l’isola felice di Internet è diventata un luogo di estremisti. Il caso Substack

Ad aprile del 2020 l’antiterrorismo estone mette a segno un’operazione clamorosa. Dopo anni di indagini online riesce a scovare il capo di un’organizzazione neonazista che da Tallin era riuscita a ramificarsi anche negli Stati Uniti, facendo proseliti su social e blog. Il gruppo progettava attacchi dinamitardi contro i “nemici della razza ariana”. A sorprendere gli investigatori però non fu l’estensione della rete, né la violenza dei suoi proclami. Ma il suo capo. Lo trovano nella sua cameretta. Al computer. Aveva 13 anni. E dai suoi seguaci sui social si faceva chiamare “Il Comandante”. Quell’arresto ha dimostrato quanto fosse diventato facile trovare e diffondere contenuti d’odio online. E quanto esteso fosse diventato il fenomeno. Nessuna piattaforma oggi sembra esserne del tutto esente.

L’inchiesta di Atlantic, tra Porte di Brandeburgo e inni al nazional socialismo

The Atlantic ha condotto un’indagine su Substack. E ha scoperto l’esistenza di decine di blog che inneggiano al nazismo, al suprematismo bianco e all’antisemitismo. Non una novità. Ma il fatto che tutto questo avvenga anche su Substack è diverso. La piattaforma è nata nel 2017 come rifugio dai social, dai discorsi violenti o frivoli degli influencer. Voleva essere una piattaforma di blog e una newsletter (ora anche podcast) dove ci si poteva prendere del tempo per leggere e pensare. Magari commentare. Ma con qualità.

Substack però ha adottato da subito delle politiche assai permissive sul tipo di contenuti che si possono pubblicare. Vale a dire: niente moderazione, tutto (o quasi) è consentito. E nell’ultimo anno qualcosa è cambiato. Su Substack hanno cominciato a proliferare pubblicazioni di estrema destra. The Atlantic ne ha contate 16. Una parte minima delle 17.000 sulla piattaforma. Ma capace di raccogliere decine di migliaia di iscritti.  Ad esempio si possono leggere – anche in Italia – i contenuti di Andkon’s Reich Press, un blog con qualche migliaio di iscritti (da 1 a 5 mila, la piattaforma non fornisce dati precisi) dove il lettore è accolto da una Berlino anni Trenta, con una Porta di Brandeburgo adornata da svastiche e aquile imperiali. Dentro si inneggia alle ragioni del nazional-socialismo, della razza ariana e dell’antiliberalismo.

Suprematismo bianco e Savi di Sion 

C’è White-Papers, che urla la necessità di politiche pubbliche in difesa dei bianchi e accusa i leader globali di essere promotori di una sostituzione etnica. C’è “Unite the Right”, anche questo un blog vicino alle ragioni del suprematismo bianco. Altre pubblicazioni scovate da The Atlantic amplificano teorie del complotto antisemite, compreso il falso secolare “I Protocolli dei Savi di Sion”, così come teorie più recenti come quelle che accusano gli ebrei di tenere sottobanco le redini del governo degli Stati Uniti o di aver ordito la campagna vaccinale contro il Covid-19. Un problema che non ha alcuna soluzione semplice. Molti esperti ritengono che bloccare queste pubblicazioni non avrebbe alcun effetto, se non fare dei loro autori delle vittime e radicalizzare ulteriormente i loro seguaci. Diverse di queste newsletter sono a pagamento, per un controvalore potenziale di 90 mila dollari l’anno l’una. Il 10% degli incassi finiscono alla piattaforma. 

L’estremismo paga. La polarizzazione pure. Perlomeno online, dove è ormai regola nota che più un contenuto è forte e divisivo più riesce a catturare attenzione, minuti di lettura, e in definitiva soldi. Youtube è la più popolare televisione al mondo. Ha 2,7 miliardi di utenti unici al mese e un discreto potere di influenzare i suoi utenti. Il 77% dei giovani tra 15 e 25 lo usa regolarmente. Diverse inchieste negli ultimi anni hanno dimostrato come l’uso stesso di Youtube porti a una sorta di naturale radicalizzazione. Se ci cerca un video di una ricetta vegetariana subito dopo ci suggerisce come diventare vegetariani, se se ne cerca uno per migliorare il proprio jogging il successivo riguarda le ultra-maratone. Un articolo del Wall Street Journal nel 2018 dimostrò come fosse piuttosto facile passare dalla ricerca di una notizia di cronaca a video che promuovevano ragioni di estrema destra o di estrema sinistra. Tutto tende a radicalizzarsi online. Un contenuto violento si presta bene alla fruizione fugace. Specie per via smartphone. 
 

I contenuti estremi e divisivi pagano 

Elon Musk lo sa bene. Rimuovendo controlli e censure su X (così ha chiamato Twitter dopo averla comprata un anno fa per 44 miliardi) ha visto incrementare i suoi utenti (da circa 300 a 415 milioni, dati Statista) e il tempo speso sulla piattaforma (da 20 a 48 minuti al giorno in media, dati HootSuite). La sua stessa comunicazione si è fatta più radicale, talvolta offensiva, spesso accusata di strizzare l’occhio alla destra estrema. Ma Musk sa che è quello che funziona online. È quello che vogliono gli utenti di X.

“Questo mezzo di comunicazione è diventato un’immensa fogna globale. Con il suo proprietario agisce deliberatamente per esacerbare tensioni e conflitti”. Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, martedì ha usato queste parole per comunicare il suo addio a X/Twitter e ai suoi 1,5 milioni di seguaci. Per lei Musk e il suo social sono “un ostacolo deliberato alla transizione ecologica”, e hanno creato per pure ragioni economiche un regno di “manipolazione, disinformazione, odio e antisemitismo”.

Hidalgo ha dato voce a un malessere diffuso tra i vecchi utenti del social, dove in effetti oggi è molto più facile imbattersi in contenuti forti, talvolta violenti. Ma i numeri suggeriscono che non sono in molti ad averlo abbandonato. Hidalgo ha detto anche che da ora userà solo LinkedIn. Il social dei professionisti. Ultimo rifugio di chi vorrebbe un’Internet più educato. Durerà?

Fonte : Repubblica