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Di Emanuele Genovese
Il primo giorno della Cop28 la presidente Giorgia Meloni comincia elencando impegni economici, finanziari, diplomatici. Tutti che ruotano intorno al fantomatico Piano Mattei, di cui rimane incerta la presentazione pubblica.
Quello che finora è emerso del progetto sembra riprendere le due traiettorie politiche emerse anche con l’inizio del conflitto ucraino: sicurezza energetica e sicurezza alimentare. Due espressioni che non indicano delle politiche univoche, e in questo caso sono intese per delineare una politica neocoloniale e per frenare la riconversione ecologica.
Come da un lato tutti i nuovi piani energetici hanno mantenuto una forte ambiguità sulle fonti da privilegiare, mantenendo investimenti ingenti sulle fonti fossili, così le paventate penurie delle filiere alimentari sono state usate per sostenere e rafforzare il modello agricolo e zootecnico intensivo.
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In entrambi i casi vediamo urlare alla necessità di certe misure per l’interesse generale mentre il beneficio è dello status quo industriale che non vuole fare la transizione ecologica o la vuole fare alle sue regole e secondo i suoi tempi, ergo in conflitto con la giustizia sociale e con i tempi indicati dalla scienza per evitare il collasso climatico.
Non è casuale crediamo che si possano ritrovare le linee guida del piano italiano negli accordi e nei piani industriali dei maggiori soggetti italiani operanti in questi campi: Eni e Coldiretti.
Eni da dilazionista climatica di prima classe, favoleggia di tecnologie quasi inesistenti o solo in fase prototipale, come dell’efficacia dei suo progetti di compensazione, continuando nel frattempo a esplorare nuovi giacimenti di fonti di energia fossile in Africa e non solo. Ci sono poi molti dubbi che lo sfruttamento delle risorse nel sud globale da parte di Eni porti ricchezza alle popolazioni locali, come raccontato dai rapporti di molte ong in Nigeria, Mozambico, Egitto.
Dal 2019 Eni ha poi stretto un accordo con Coldiretti per la promozione di progetti di sviluppo delle economie locali con particolare riferimento all’Africa.
Ora Coldiretti punta a 40.000 ettari coltivati per la “rinascita dell’Africa”, nello specifico si prevede la coltivazione su 10mila ettari in Algeria, 15mila in Egitto, 8mila in Angola e 7mila in Ghana. I governi locali acquisteranno la maggior parte del raccolto (fra il 50 e 80%) a prezzi definiti con sementi forniti da Sis (Società italiana sementi) mentre Consorzi Agrari d’Italia (Cai) si occuperà di fornire materiali e macchinari.
Alcuni dei paesi che hanno veramente sofferto di carenze alimentari vedono dettarsi quali produzioni fare e come farle, mentre gli vendiamo i nostri strumenti. Con una proprietà e dei benefici che ancora, a differenza di quanto affermato dalla Presidente, non saranno dei paesi africani.
Nello scenario attuale il tentativo di mantenere il controllo delle aree del sud del mondo continua ad avvenire attraverso accordi commerciali, ma anche attraverso i vincoli finanziari che vengono loro imposti.
La prima novità di questa COP 28 è stata l’istituzione ufficiale del fondo di riparazione per i paesi più colpiti dalla crisi climatica, fondo che va ad aggiungersi al precedente Green Fund per le politiche di adattamento. Meloni ha affermato che (l’inadeguato) contributo italiano sarà di 100 milioni, senza però specificare se come per il green fund lo stato italiano disporrà solo una parte dei fondi per raccogliere dai privati la parte restante.
Ancora una volta del nuovo fondo non si hanno certezze sui paesi finanziatori, né sul tipo di fondi, solitamente perlopiù prestiti con dure condizionalità. Si sa però che sarà gestito dalla Banca Mondiale, una delle due istituzioni insieme al Fondo Monetario Internazionale, ad avere più imposto interessi altissimi per i prestiti concessi ai paesi del sud del mondo e per aver concesso risorse per progetti nemici degli impegni climatici.
Di fronte a questo scenario risulta necessario richiamare le richieste dei movimenti sociali dei paesi MAPA (Most affected people and areas) sull‘estinzione degli interessi sul debito, per la condivisione di tecnologie senza dover subire il pagamento di brevetti esosi: senza continuerà la spirale di povertà e politiche di austerità i cui effetti persistono.
Tra le famose condizionalità che hanno spesso accompagnato i prestiti della Banca Mondiale troviamo inoltre la privatizzazione nei settori chiave dell’economia e nei casi in cui i paesi non siano in grado di ripagare i loro debiti crescenti esportazioni di materie prime.
Proprio su questo ultimo punto Meloni è tornata il giorno successivo: l’obiettivo, ha detto, è il raggiungimento della neutralità climatica attraverso però una “transizione non ideologica”, sposando la posizione della neutralità tecnologica, per cui si sceglie di non sostituire le fonti fossili con le rinnovabili, e di investire su di esse fuori tempo massimo vendendo l’idea dell’Italia hub del gas europeo con l’idrogeno a fare da pretesto. Coerentemente sostiene quindi l’investimento biocombustibili, un leitmotiv della transizione proposta dalle aziende con meno investimenti nella riconversione, e con tutta l’intenzione di dirottare più fondi possibili sui progetti che la vecchia economia fossile e non solo avevano nel cassetto. Nota bene: Un largo uso su scala globale di biocombustibili non potrebbe poggiare solo sugli scarti organici presenti nei paesi di utilizzo, ma si baserebbe sulle enormi superfici presenti proprio nel sud globale.
Senza affrontare le condizioni che permettano la effettiva autonomia e indipendenza del sud globale, gli impegni di questa ennesima COP rimarranno allineate al nuovo, ma vecchio, colonialismo. E non fermeremo la catastrofe climatica.
Fonte : Fanpage