La blockchain nasce con Bitcoin nel 2008 come risposta alla crisi dei mutui subprime e il conseguente crollo, non solo in termini di fiducia, di tutto il sistema bancario americano salvato in extremis dal Governo con l’immissione di centinaia di miliardi in liquidità. Altri, più capaci e competenti di me sul tema, potranno parlare nei profondi dettagli tecnici di Bitcoin.
A me è bastato osservare come da 15 anni, grazie a un protocollo illustrato in un white paper di poche pagine firmate dallo pseudonimo Satoshi Nakamoto, sconosciuti si scambiano miliardi di dollari, ogni giorno, senza conoscersi, senza nessun “man in the middle”, in pochi istanti e pagando pochissimo. Bitcoin, tra le prime 10 “aziende” più capitalizzate al mondo, è senza un presidente, senza un Cda, senza nessuno che possa prendere decisioni autonomamente, tutto è completamente trasparente e pubblico.
Il denaro di tutti, dove tutti sono controllori e controllati, dove barare non è una possibilità. Un asset prodigioso anche in termini di rendimenti, ancora troppo volatile per i pagamenti, certo, ma che sta dimostrando straordinarie qualità di resilienza e affidabilità. I soldi pubblici per davvero. Il controllo della valuta nella mani dei cittadini. Democratico, trasparente, incensurabile. Una delle invenzioni più straordinarie dell’uomo a mio parere.
Cos’è la blockchain
Oltre a una moneta digitale formidabile, Bitcoin ci ha regalato una tecnologia, la blockchain, che va oltre l’aspetto meramente finanziario. E qui, fare zoom out, diventa più complesso. In pochi infatti sono riusciti a dare una visione di insieme, riuscendo a individuare i confini di questa invenzione e tutti gli ambiti di applicazione. È un esercizio difficile, e sempre aperto all’aiuto esterno, che proveremo a fare qui. Innanzitutto cerchiamo di provare a capire di cosa si tratta, nel modo più semplice possibile.
Avete presente il libro mastro? Oppure il registro scolastico lasciato sulla cattedra della maestra a scuola? Ecco, la blockchain non è altro che questo: un registro pubblico su un tavolo che tutti possono leggere e controllare, tutti possono aiutare a compilare e che nessuno può modificare, corrompere o censurare senza che non se ne accorgano tutti i partecipanti. Questo proprio grazie alla crittografia e alla “catena di blocchi”, gli uni dipendenti dagli altri a tal punto che una modifica di anche un solo dato contenuto in un solo blocco, porterebbe allo “spaiamento” di tutta la catena, quindi all’alert generale. La blockchain è solo questo, ma perché è così importante? Perché introduce due concetti inediti, senza precedenti, e fondamentali per capire anche le criptovalute: il possesso e la decentralizzazione.
Cosa vuol dire ‘possesso’ sul web?
Già, per la prima volta nella storia di Internet, si può riconoscere il possesso di un asset digitale (ma anche fisico, come vedremo dopo) a qualcuno. Proprio perché le informazioni sono immutabili, pubbliche, incensurabili e incorruttibili, possono rappresentare una sorta di “certificato di possesso”. Sulla blockchain noi possiamo assegnare a una determinata identità (un wallet, un indirizzo pubblico) una certa quantità di un asset, di una criptovaluta per esempio, che per quanto possa avere un nome inquietante, non vuol dire altro che una moneta che usa crittografia come sicurezza e protezione. Gli scenari che apre l’aver trovato il modo di riconoscere il possesso di un asset sul Internet, sono sconfinati e li stiamo scoprendo in questi anni.
Non è un mondo a parte, la blockchain è strettamente collegata ad Internet del quale la possiamo intendere come un’estensione naturale. E infatti tutto il Web che si sta costruendo usando la tecnologia blockchain prende il nome di Web3 per distinguerlo dal web1 (anni 1995/2000) quando si poteva solo scrivere e pubblicare informazioni testuali e poche foto su un sito web, passando per il web2 (2005/2023) che introduceva la possibilità di interagire e creare contenuti, i social per intenderci, fino appunto ad arrivare al Web3 che a queste cose somma due concetti inediti: decentralizzazione e possesso. “Ma cosa me ne faccio del possesso di asset digitali? Io non ho asset digitali e non li voglio avere”. Sbagliato.
Tutti noi abbiamo asset digitali solo che non sono in nostro possesso ma in mano a entità centralizzate che ci forniscono un servizio proprio in cambio del possesso dei dati stessi. Tutti abbiamo una mail, o un numero di telefonino, ma in realtà non sono proprio nostri. Se arrivasse qualcuno a offrirci un milione di euro per il nostro numero di telefono, noi non potremmo concludere l’affare perché l’asset digitale del nostro numero di telefono, semplicemente non è in nostro possesso. Google o Meta o X, domani, potrebbero decidere di chiedere un pagamento per farci accedere ai nostri (loro?) messaggi, mail, foto, video etc. Avere per la prima volta il possesso sul web è una vera rivoluzione, è the next big thing che stravolgerà il web per come lo conosciamo dalle fondamenta, che cambierà completamente il senso dei mondi virtuali e li renderanno più reali e più utili perché più connessi con il mondo fisico. Inoltre, essendo ormai noi componenti di una società estremamente digitalizzata, è destinato a cambiare la società stessa. E se non ci credete guardate come i social hanno cambiato le nostre vite (spesso in peggio) e i nostri business (spesso in meglio) negli ultimi anni.
La decentralizzazione
L’altro concetto estremamente importante che introduce la blockchain è la decentralizzazione. E qui stiamo parlando di una rivoluzione politica, sociale, sociologica, filosofica ancora prima che economica. Il sistema blockchain è pensato per essere distribuito su migliaia di nodi (anche semplici computer) che partecipano nella scrittura, controllo, verifica, archiviazione e gestione dei dati in maniera collettiva. La blockchain non ha infatti bisogno di server (server-less), le informazioni sono diffuse su questo cloud innovativo, blindato, sicurissimo, criptato. E sono incensurabili, non modificabili se non dalla maggioranza del network.
È la fine delle stanze buie. La fine delle decisioni prese da pochissime persone sulla testa di molti. La fine della corruzione. Perché in un sistema centralizzato, con uno o pochissimi uomini al comando, corrompere chi sta in cima, se si può operare nell’opacità, è un gioco da ragazzi estremamente efficiente. In un sistema decentralizzato, trasparente, incorruttibile, pubblico, questo non è possibile. Non serve più fidarci di quegli uomini al comando, che si sa l’occasione ha sempre fatto l’uomo ladro. Il sistema non permette loro di agire per scopi che non siano approvati dall’intera community, o almeno il 50% + 1 di essa. Per questo si chiama tecnologia trust-less, che non ha bisogno di fiducia.
Se il sistema non permette di barare, di rubare, di contraffare non ha nessuna importanza l’etica delle persone che ne fanno parte. Possiamo metterci dentro pure Al Capone, Lupin, Hitler, non importa: sono le regole pubbliche del sistema e la trasparenza del suo funzionamento a garantire che le scelte vengano fatte per il bene collettivo. Benissimo, ma in pratica, a cosa serve questa blockchain? Eh, non è facile rispondere, è come se nel 2000 ci avessero chiesto: “Ma cos’è che si può fare con questo Internet?”. Beh un sacco di cose.
Proverò qui a fare una veloce carrellata, ma per ciascun settore servirebbe un approfondimento apposito.Non sono un tecnico, e invito gli esperti a intervenire per correggere le imprecisioni, ma abbiamo individuato alcuni campi di applicazione estremamente eterogenei e slegate da coin, token ed nft. Una blockchain infatti può esistere anche senza una moneta interna, se questa non è necessaria al funzionamento e non ha diversi casi d’uso conclamati. Partirei dalla sicurezza dei dati, tallone d’Achille dell’aziende italiane, continuamente sotto attacco di hacker specializzati in ransomware (blocchi dei sistemi, spesso tramite phishing evoluti, a scopo estorsivo). Bene la blockchain permette un livello di sicurezza dei dati estremamente più efficiente e inviolabile.
Le certificazioni
Le certificazioni, di qualsiasi genere. Dalla certificazioni delle filiere, a quella dei materiali usati, dalla certificazione dei consumi energetici, ai certificati di autenticità, tutte killer app preziosissime in un Paese come l’Italia che dell’arte artigianale, della cura dei particolari, della tutela delle piccole e piccolissime eccellenze fa, o dovrebbe fare, il suo cavallo di battaglia. Sulla blockchain si possono creare certificati che attestino, sempre in maniera pubblica, trasparente, incorruttibile e imperitura, praticamente qualsiasi cosa.
Certo, stupidamente, si può sempre mentire, si possono sempre pubblicare dati falsi, ma ci si espone a rischi altissimi e, una volta scoperta la mendace dichiarazione, se ne dovranno pagare le conseguenze in quanto non si potrà più tornare indietro e rimangiarsi quello che si è dichiarato pubblicamente (la blockchain in Italia ha valore legale dal 2019 con il Decreto Semplificazioni). Immaginatevi la lotta al falso che da sola costa al nostro Paese 10,5 miliardi di euro all’anno. La blockchain qui può essere usata per creare un “gemello digitale” o “digital twin”, che accompagni obbligatoriamente l’oggetto fisico e ne garantisca l’autenticità. Quindi tutti i pezzi numerati di una collezione di borse per esempio usciranno sul mercato con un certificato digitale in formato Nft (no, non sono morti per niente e ne parliamo tra un attimo). Tot borse, tot Nft, immutabili, non falsificabili, non riproducibili. Per paradosso, è molto più facile tecnicamente ricreare una borsa falsa che un certificato su blockchain con il rischio che in futuro questi certificati varranno più dell’oggetto che garantiscono.
Sulle certificazioni delle filiere poi, quanto può essere utile! Fai coltivazione biologica? Sei un’azienda 100% Made in Italy? Hai 10 lauree? Consumi pochissima acqua? Fai la raccolta differenziata? Benissimo, scrivilo sulla blockchain, pubblica tutti i documenti che dimostrano che, in un mondo di ladri, la tua azienda si comporta in maniera etica e trasparente e tu sei un cittadino modello. Un po’ lo stesso principio per cui i ristoranti scelgono di mettere la cucina a vista della clientela. Trasparenza.
Ovvio, gli usi più dirompenti ed efficaci, questa tecnologia li avrebbe se a prenderla in mano fosse lo Stato. Si potrebbero creare sistemi a evasione fiscale zero, per esempio, lo Stato potrebbe riconoscere delle ricompense, significato originale di token, per premiare i comportamenti positivi dei propri cittadini e non solo punirli quando sbagliano. E attenzione, non bonus indiscriminati a pioggia, a chiunque, a prescindere, ma ricompense meritocratiche che, sulla base delle certificazioni on-chain (abituatevi a sentire questa parola sempre più spesso, non sono on-line, on-chain) possano essere verificabili e riscontrabili da tutti.
Gli Nft forse non sono poi così morti come si dice
Nft, dicevamo, altra parolaccia che vuol dire “Not fungible token”, ma per capirlo immaginatelo semplicemente come un contenitore di asset digitali (ma anche fisici come abbiamo visto). Mentre i giornali suonano il requiem, nessuno spiega che usi pratici possano avere. Una killer app, per esempio, la troviamo nel ticketing, i biglietti per concerti ed eventi sportivi. Utilizzando la tecnologia blockchain, “mintando”, ovvero coniando, un Nft si potrebbe annullare o almeno controllare il secondary market.
Si può programmare lo smart contract (il cervello) dell’Nft in modo che il token-biglietto non possa essere ceduto, che quindi non possa lasciare il primo wallet di destinazione. Oppure lo si può programmare permettendo la rivendita, ma prevedendo che una parte finisca automaticamente al wallet dell’artista. Chiedete il parere dei Coldplay che hanno visto il prezzo dei biglietti dei loro concerti arrivare da 70 a 700 euro senza percepire un centesimo. Miliardi di euro l’anno da togliere dalle tasche dei bagarini e darli agli artisti. Oggi.
Per lo stesso motivo, si potranno certificare le opere d’arte collegandole (per sempre) all’artista che le ha prodotte. Con lo stesso meccanismo si potrà impostare che l’Nft che accompagna l’opera d’arte possa riconoscere una percentuale sulle future vendite dell’opera all’autore o ai suoi eredi, in maniera trasparente, immutabile, irreversibile, automatica e per sempre. Senza intermediari.
Musica e blockchain, un terreno da esplorare
Vi piacerebbe investire sul vostro cantante emergente preferito? Scommettere che diventerà una star e nel frattempo aiutarlo a pagare le bollette? Oppure essere fan di una star internazionale non vi basta e volete investire in lui/lei? Chiedete a Rihanna e Justin Bieber che hanno ceduto l’1% delle milionarie royalties dei loro ultimi dischi ai 300 possessori di un Nft da loro lanciato.
Non è futuro, è passato, mentre in Italia il mondo della musica cincischia senza rendersi conto che, non vendendo più dischi, campare solo delle briciole che restituiscono le piattaforme e dei live è limitativo ed estremamente rischioso (vedi Covid). A proposito di piattaforme che prendono tutto e non restituiscono niente, anche i social network sono destinati a essere stravolti dalla rivoluzione blockchain. Il sistema social, vecchio ormai di 20 anni, mostra i suoi limiti e i segni di invecchiamento. Lo sanno benissimo i social media manager di Repubblica, Stampa o qualsiasi altra grande community. Quei milioni di fan segnati sul profilo sono del tutto virtuali.
Ogni link o post, se non viene sponsorizzato, quindi in maniera organica si dice, raggiunge molto meno dell’1% della platea fan. Questo perché Facebook, Instagram, Youtube, X, Tik Tok non ci permettono di raggiungere i nostri fan senza pagare. In qualche modo è come se li tenessero in ostaggio: vuoi farti vedere dai tuoi utenti? Ci devi pagare, e parecchio. Per non parlare della libertà di espressione sul web, bene troppo importante per essere lasciato nelle mani di una manciata di milionari seduti sui loro imperi centralizzati creati con i nostri contenuti, il nostro tempo, la nostra attenzione, e in cambio di cosa?
L’accesso a un sito web, bell’affare abbiamo fatto.Ma d’accordo non c’erano alternative, Internet però non si ferma. L’invenzione che ha segnato più di qualsiasi altra il genere umano è nata da pochissimo tempo, cambierà evolverà, diventerà più “rete” vera e meno piramide. E certo questo prevede anche una forte redistribuzione della ricchezza derivata dalle attività online. Ed era ora.
I crypto social
Così immaginiamo per un attimo le community di domani, anzi le super community fatte di super fan, molto meno numerose di quelle di oggi, ma molto molto molto più efficaci. Innanzitutto sui crypto social (sono già decine, googlate pure) la mia community la potrò raggiungere sempre tutta, senza men in the middle, che vogliono soldi per farmi parlare con i miei fan.
I super fan saranno super e non più semplici fan perché potranno investire nella community stessa (qualsiasi cosa riguardi: un cantante, una squadra, un giornale, un supermercato, non cambia nulla) e quindi sentirsi davvero parte, sentirsi un po’ proprietari delle proprie passioni in un certo senso. Avere un certificato che ne attesti questa vicinanza e questo attivismo apre scenari inediti ed esplosivi che potrebbero andare a ridisegnare completamente il marketing e la pubblicità sul web per come la conosciamo ora.
Non è detto che il token o la cripto sia ceduta per una contropartita economica, la si può anche non mettere in vendita ma darla solo a chi compia determinate azioni (visitare un negozio, leggere articoli, scrivere dei post sui social, provare un prodotto e recensirlo, contribuire alla vita quotidiana dell’azienda, qualsiasi cosa) per premiarne la fedeltà e la partecipazione.
Creare quindi delle super community che in cambio di un token diano valore all’azienda, al cantante, al giornale, al supermercato ma nel frattempo anche a loro stessi. Protagonisti delle sorti della nostra community di riferimento, potrebbero diventare una fenomenale macchina da marketing, di certo più efficiente di investire budget su banner su siti web che nessuno clicca o spazi pubblicitari su canali televisivi che nessuno guarda.
Legislazione e finanza tradizionale
Mi fermo, altrimenti questo articolo diventa un ebook, ma prima bisogna parlare di due altre cose importanti, se vogliamo capire bene le criptovalute, la blockchain e gli nft. Due cose molto legate tra loro: la legislazione e la finanza tradizionale. E c’è una data importante: il 31 maggio 2023, giorno in cui il parlamento Europeo ha approvato il Regolamento Mica (Markets in Crypto-assets).
Una legge ampia, precisa, che per la prima volta dà una tassonomia, dà i significati ufficiali ad alcuni termini, da token a crypto asset, da e-money a stable coin, fino alle Cbdc, Central Bank Digital Currency le crypto di Stato se vogliamo. L’Euro digitale, insomma, che seguirà lo Yuan Digitale già utilizzato dalla Cina, assieme alla Russia e al suo Rublo digitale. In America, nonostante il mega scandalo Ftx che ha mostrato le imbarazzanti falle nel sistema politico e finanziario americano incapace di riconoscere un truffatore da strapazzo come Sam Bank Friedman, ora pensano agli Etf su Bitcoin.
Le truffe sono un problema di questo settore, certo, noi a Decripto siamo specializzati proprio in questo, ma non si può permettere a un manipolo di furbetti di rovinare una tecnologia così straordinaria e costringerci a buttare il bimbo con l’acqua sporca. Il mondo sta abbracciando le criptovalute a passi da gigante, vuoi per problemi di inflazione, vedi Sud America e Medio Oriente, vuoi per impossibilità ad accedere a conto bancari (Africa e Terzo e Quarto Mondo), vuoi per problemi di libertà (milioni di persone vivono sotto regimi autoritari).
E anche la Finanza tradizionale ormai non può più far finta di niente. Se n’è parlato in Abi e in Banca d’Italia in convegni straordinari e se ne continua a parlare con webinar e corsi. Di fatto, dal prossimo anno, tutte le banche europee saranno autorizzate a elargire qualsiasi tipo di crypto asset. In Germania e Austria, ma anche in Italia, diversi Istituti di Credito stanno facendo le prime mosse, ma anche grandissime aziende si stanno aprendo al settore (Ferrari accetterà pagamenti in crypto dal 2024) e altre corporate già hanno fatto esperimenti molto interessanti (vedi l’Nft di Telepass). Insomma, acclarato che non si può fermare il progresso, bisogna studiarlo, capirlo, cavalcarlo, o almeno provarci se non si vuole finire schiacciati dagli zoccoli pesanti come quelli di una corsa di tori. Che sembra sia alle porte.
Contro la censura
Fonte : Repubblica