Perché i sardi vivono più a lungo (anche grazie alle capre)

Vivono più a lungo e sono più “protetti” da determinate malattie. Non parliamo dei Giapponesi di Okinawa, ma dei sardi che abitano le regioni interne dell’isola. Nel 2004 un gruppo di villaggi della Sardegna sono stati identificati come la prima Blue Zone (Zona Blu) a livello globale da un team di ricerca internazionale che indaga sulla longevità. I ricercatori hanno individuato una rara peculiarità genetica portata avanti dai suoi abitanti. I geni si coniugano ad altri elementi, come l’isolamento e l’alimentazione. In base a ricerche recenti alcuni meriti vengono attribuiti agli allevamenti estensivi dove ancora possono nutrirsi le capre autoctone della Sardegna e le pecore. Le qualità e i sapori dei prodotti caseari ottenuti rappresentano una unicità, per questa ragione da alcuni anni i ricercatori stanno studiando in modo specifico sia gli elementi nutrizionali che gli effetti sulla salute delle persone. Si è scoperto che determinate caratteristiche aiutano a creare un’esistenza non solo duratura ma anche scevra da alcune malattie più diffuse. L’ostacolo maggiore rimane quello del riconoscimento economico del valore aggiunto di questi prodotti. Ottenere un prezzo maggiore per un latte di capra o di pecora da pascolo aiuterebbe ad esempio ad evitare lo spopolamento di queste zone, che si stanno impoverendo sia sul piano sociale che economico. Gli allevatori “matti” della Sardegna non si vogliono però arrendere e premono per vedere riconosciuti i loro meriti.

Il potere delle erbe

A fare da traino per gli studi sull’alimentazione in Sardegna è stato il progetto Kent’erbas, nato dalla volontà di 27 aziende agricole della zona del Marghine che hanno deciso di attivarsi per meglio comprendere le caratteristiche del territorio per poterlo valorizzare in modo corretto. All’origine c’è stata la ricerca “Prati fioriti”, che ha studiato la biodiversità dei pascoli tipica di quest’area, ma che potrebbe essere estesa anche ad altre zone, come ad esempio all’Ogliastra e alla Barbagia. Sono state rilevate tra le 57 e le 117 essenze di pascoli. “Tutta questa varietà dei pascoli offre un alimento molto diverso da quello degli allevamenti intensivi dove gli animali mangiano esclusivamente mangimi e mais”, ha spiegato durante una conferenza al Parlamento europeo Sergio Sulas, uno degli allevatori che ha spinto per realizzare questo progetto. “Noi allevatori abbiamo commissionato la ricerca per acquisire un momento di consapevolezza rispetto ai nostri prodotti. Gli anziani conoscono le qualità dei latticini e delle carni, che variano anche in base anche alle stagioni, ma adesso abbiamo elementi scientifici rispetto a quelle conoscenze che nascevano dall’esperienza”, ha spiegato Sulas, che vede il progetto come uno strumento allargabile ad altre regioni italiane, con lo scopo di estendere le migliori tradizioni e consuetudini della Sardegna. Ad aiutare gli allevatori è intervenuta l’Università di Cagliari con un team di ricerca coordinato da un lato dal professor Sebastiano Banni, professore di Scienze Biologiche all’Università, e dall’altro da Andrea Cabiddu, ricercatore dell’Agenzia della Regione Sardegna per la ricerca scientifica (Agris).

Meno colesterolo e più fenoli

Cabiddu ha studiato dapprima un territorio come l’Ogliastra, una zona altamente vocata per gli allevamenti estensivi, essendo un territorio montagnoso con pochi pascoli permanenti e molti pascoli arbustivi. Qui si concentra metà della produzione della capra autoctona della Sardegna, il cui latte può essere utilizzato solo per i latticini ma non per il latte alimentare. La caratteristica di queste capre sta nella loro capacità di brucare l’erba sia sui terreni che sugli arbusti, utilizzando tutto lo spazio esplorabile. Il ricercatore ha studiato le qualità del latte di capra, con risultati che sovvertono alcuni stereotipi. All’occhio dei consumatori spesso i grassi animali sono da considerare dannosi. Nel latte di capra allevata al pascolo un elemento come il colesterolo risulta invece basso rispetto al latte bovino. È stato rilevato inoltre un alto potere antiossidante abbinato a un elevato livello di vitamina E. “Gli acidi butirrico, il caprilico e il caprico nel latte proveniente da capre da pascolo sono presenti dal 100 al 200% in più rispetto a quello delle stalle. Assieme a queste componenti c’è da notare l’alto contenuto di fenoli, derivante dagli arbusti e dalle erbe di cui si cibano questi animali”, ha sottolineato nel suo intervento Cabiddu. L’elevata biodiversità conferisce anche gusti diversi dal punto di vista aromatico, con profumi e sapori che cambiano a seconda delle stagioni.

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Antiossidanti in abbondanza

Nel progetto Kent’erbas i pascoli sono stati monitorati sia dal punto di vista chimico che botanico, mentre per gli animali nelle stalle veniva misurato solo il “piatto unico” servito alle capre. “Tra marzo e maggio con una maggiore ingestione di erba, aumenta anche il contenuto di vitamina A, E, e dei carotenoidi, mentre il latte da stalla ha sempre valori più bassi. Solo a giugno i livelli si equivalgono perché il pascolo secca”, ha precisato Cabiddu. Il latte da allevamenti estensivi rimane più ricco anche per le antocianine, potenti antiossidanti, dato che influiscono aspetti floreali e dei colori presenti nei pascoli. I prati e gli arbusti conferiscono anche delle “impronte sensoriali” diverse, con una varietà di colori e sapori che non si possono rinvenire nei formaggi “standardizzati” che usano il latte delle stalle. A determinare queste differenze sono le 400 molecole individuate nel latte da pascolo, che varia anche a seconda del periodo dell’anno.

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Metabolismo più flessibile

A verificare l’impatto della nutrizione sulla salute dell’uomo ci ha pensato Sebastiano Banni, che ha indagato la “flessibilità metabolica”, cioè la capacità di usare in materia ottimale i grassi e il glucosio. Grazie a tale flessibilità i tessuti sfruttano al meglio e in maniera diversa questi elementi a seconda delle funzioni da svolgere. Questa caratteristica può essere misurata tramite un indice. In breve, godono di una migliore flessibilità metabolica coloro che usano in primo luogo i grassi e solo in seconda istanza il glucosio nei loro sforzi fisici. In particolare in coloro che godono di questa flessibilità è più presente l’acido linoico coniugato (Cla), una molecola caratteristica di prodotti animali derivati da allevamenti estensivi, capace di favorire i metaboliti bioattivi. Gli esperimenti sono stati condotti su una cinquantina di persone di età compresa tra i 45 e i 65 anni, la fascia d’età in cui questa flessibilità di solito si riduce. In base ai dati preliminari emersi, calcolati sul consumo di pecorino il team di Banni ha valutato le modifiche nel metabolismo mangiando pecorino da allevamenti intensivi ed estensivi. “Dopo aver mangiato del pecorino dal progetto Kent’erbas gli intervistati avevano un livello di acido linoico coniugato (Cla) più alto di circa 40% rispetto a quando hanno mangiato per un perido solo pecorino da latte di stalle”, ha affermato Sebastiano Banni, docente di Scienze biologiche presso l’Università di Cagliari. “In totale la flessibilità metabolica risulta aumentata del 27%”, ha aggiunto il professore.

Prezzi imposti

Nonostante la longevità e territori ricchi di fascino, la Sardegna ha perso migliaia di abitanti proprio in quelle zone interne caratterizzate da longevità e vocate all’allevamento. Questo anche perché ci sono sempre meno allevatori e pochissimi sono giovani, risultando poco remunerativo produrre in condizioni dettate dagli intermediari e dalla Grande distribuzione organizzata. “Un latte ricco di nutrienti come quello delle capre sarde al pascolo vale lo stesso prezzo di un altro latte di qualità meno elevata”, ha lamentato Sulas. Anzi paradossalmente i consumatori si rivolgono spesso a prodotti “arricchiti” in laboratorio, ad esempio con i fenoli, che risultano comunque meno nutrienti e più cari, ha fatto notare Cabiddu. “All’allevatore viene riconosciuto appena il 20% del prezzo finale, mentre l’intermediario recupera circa la metà del guadagno del nostro lavoro”, ha sottolineato Sulas. “Bisogna accorciare la filiera perché i giovani che vogliano dedicarsi a queste attività necessitano la soddisfazione anche economica di lavorare”, ha aggiunto l’imprenditore.

Difendere i piccoli

A sostenere le richieste degli allevatori sardi c’è l’eurodeputato Dino Giarrusso, organizzatore del convegno tenutosi a Bruxelles a fine novembre e dedicato alla Blue Zone della Sardegna. “In Italia manca la tutela di tutto un sistema di piccoli produttori come quelli sardi e questo sta contribuendo sia alla desertificazione dei suoli che al problema della perdita dei sapori e delle varietà di cui è ricca l’Italia”, ha dichiarato l’eurodeputato siciliano che rappresenta anche gli elettori sardi in Europa. “Spero che le grandi organizzazioni agricole possano comprendere che va tutelato un intero sistema di filiera, non solo i grandi consorzi come quelli del centro-Nord”, ha messo in evidenza Giarrusso.

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Sfide molteplici

Tra le nuove sfide per gli allevatori sardi ci sono anche i cambiamenti climatici. “Da quando l’autunno è diventato quasi estate ci sono stati cambiamenti nella gestione dell’azienda, ma siamo resilienti perché riusciamo a sfruttare i pascoli tutto l’anno, in base a quote altimetriche diverse. Le piogge intense ad esempio hanno creato problemi in pianura, ma in montagna l’effetto è stato positivo, quindi riusciamo a compensare i cambiamenti stagionali”, ha sottolineato Sulas. Quando durante l’incontro viene evocata la minaccia della carne “coltivata” (cosiddetta carne sintetica, ndr), Sulas dice di non essere spaventato. “La ricerca è sempre qualcosa di positivo e io da piccolo allevatore non sono preoccupato perché si tratterebbe di prodotti completamente diversi. Mi preme di più ottenere un prezzo migliore per un latte di qualità come il nostro e avere la possibilità di parlare col consumatore finale, perché tutto il discorso sulla qualità si perde quando intervengono gli intermediari”, ha concluso Sulas.

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Fonte : Today