Gabriele Maestri è un costituzionalista, ma soprattutto studia una materia molto particolare, il “diritto dei partiti”. Tra le sue pubblicazioni troviamo “Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male” e “Padani alle urne”. Da molti anni gestisce il sito “I simboli della discordia”, in cui cataloga e racconta tutte le liste – anche le più stravaganti – che si presentano alle elezioni locali, nazionali ed europee.
Chi può votare alle elezioni europee 2024
“È una nuova facoltà – spiega a Today.it – che è stata creata all’università di Roma 3. La guida il professor Salvatore Bonfiglio, con cui abbiamo pubblicato da poco una parte del trattato di diritto pubblico comparato proprio sui partiti. È una materia che c’era in tutti i Paesi Ue tranne che in Italia”.
Lei è probabilmente il più grande esperto di micro partiti, quelle liste che spuntano come funghi ad ogni elezione. Che idea si è fatto di questo fenomeno?
“Confesso, è una cosa che piace tantissimo a noi ‘malati di politica’. Intanto va detta una cosa: esistono vari tipi di micro partiti: quelli nati da iniziative di personaggi influenti, quelli che si rifanno a storie blasonate o sono proprio partiti del passato che si ripresentano alle elezioni, come ad esempio il Partito Repubblicano, il partito Socialdemocratico, i tanti tentativi di riproporre la Democrazia Cristiana o il Partito Comunista Italiano e quelli che escono fuori da iniziative estemporanee, più o meno bizzarre”.
Iniziamo dalle “vecchie glorie”.
“Sono liste piccole che si mettono sulla scia di gloriose storie del passato; non hanno ovviamente la militanza, le sedi e le strutture che avevano un tempo e nascono intorno a persone più o meno note”.
Uno di loro è Marco Rizzo, che è tornato per l’ennesima volta in campo con “Democrazia Sovrana e Popolare”, uno strano micro partito un po’ comunista e un po’ sovranista.
“Lui è ancora uno dei riferimenti del Partito Comunista, quello che ha nel simbolo ha la falce e martello senza bandiera. Poi c’è anche il Partito Comunista italiano, che ha lo stesso simbolo di quello storico con qualche piccola modifica nella grafica”.
Di falci e martelli sono piene le schede elettorali. Come si distingue l’originale, quello con la continuità storica, dagli altri?
“Da un certo punto di vista è inutile domandarselo, soprattutto a sinistra dove la moltiplicazione delle liste c’è sempre stata. Se proprio si vuole risalire, bisogna trovare a chi è intestato il simbolo e chi effettivamente può usarlo; spesso la figura giuridica è l’ultimo tesoriere”.
“La verità è che in Italia sciogliere un partito non ha molto senso ed è anche complicato, perché sono dei soggetti politici e prima di chiuderli bisogna risolvere tutte le questioni finanziarie collegate: nella maggioranza dei casi parliamo di debiti. È più facile che un partito vada ‘in sonno’, che venga messo in stand by, magari in attesa di rilanciarlo in futuro”.
Qualche esempio di partito dormiente?
“L’esempio più significativo è quello dei partiti che sono confluiti nel Partito Democratico, i Democratici di Sinistra e la Margherita. È un caso di scuola perché fu come un matrimonio in divisione dei beni, come disse l’ex senatore Ugo Sposetti, ultimo tesoriere dei Ds, ancora oggi titolare del simbolo e delle casse del partito”.
In che senso?
“I Ds avevano tanti debiti, ma un grande patrimonio immobiliare, ovvero le sedi di partito che poi erano quelle del Partito Comunista Italiano prima del cambio del nome, mentre la Margherita aveva pochissime sedi sul territorio ma un po’ di soldi in cassa, quelli del finanziamento pubblico. Oggi molte sedi Pd pagano l’affitto alla Fondazione Gramsci, presieduta dallo stesso Sposetti, ma è in corso una dismissione. Insomma, Ds e Margherita esistono ancora malgrado quei partiti siano confluiti, a livello politico, nel Pd. Uno perché ha i debiti, l’altro perché ha i soldi”.
Torniamo ai micro partiti. Alle prossime europee, oltre al solito Rizzo, rivedremo Castelli, Di Battista, Alemanno. È un’elezione con proporzionale, con lo sbarramento al 4%. Che senso ha presentarsi sapendo di partire già sconfitti?
“Non è detto che un partito nasca per presentarsi alle elezioni. Può nascere intorno a una persona, a chi è stato leader o a chi ha avuto una certa visibilità in passato, che porta avanti la sua posizione politica. Rizzo è il più strutturato di quelli che ha nominato, perché è stato il primo a farlo. Più che per presentarsi alle elezioni, un micro partito può essere utile alla formazione delle liste: probabilmente molti si uniranno in delle coalizioni per cercare di raggiungere la soglia, altri si legheranno a partiti più grandi, cercando di posizionare candidati in quota nelle liste. La loro priorità sarà evitare la raccolta delle firme, il vero grande scoglio in questi casi”.
Perché un partito grande dovrebbe cedere posti a uno zero virgola?
“La dote, se vogliamo chiamarla così, non è solo in termini di voti. I micro partiti possono mettere a disposizione risorse economiche e sedi per le costose campagne elettorali; a volte contano tra i loro sostenitori dei sottoscrittori importanti o sono gli stessi candidati ad avere disponibilità economiche che mettono a disposizione, altre volte rappresentano piccole lobby. In altri casi hanno un consenso circoscritto a determinate aree geografiche che può far comodo per arrotondare il risultato. Se gli va bene, ottengono l’elezione del loro candidato nella lista del partito grande. Poi ci può essere il caso dell’ex che cerca di intercettare i voti degli scontenti per poi andare a contrattare il suo spazio”.
Potrebbe essere il caso di Gianni Alemanno e del suo “Movimento Indipendenza”?
“Potrebbe. Il suo sembra essere un partito satellite che si smarca da quello più grande andando a intercettare l’elettorato duro e puro. Lui ha un seguito non irrilevante: è stato sindaco e ministro. Queste operazioni servono anche a riacquistare visibilità, a rimettersi al centro della scena sui giornali e in tv”.
Passiamo alla parte più folkloristica. Negli anni avrà visto tante cose strane.
“Chi nella sua vita non ha mai visto la fila fuori al ministero dell’Interno prima delle elezioni non ha visto passare il mondo della politica. In quella fila, in cui si depositano le liste, si trova un po’ di tutto: ad esempio le liste della Lega le presenta sempre Roberto Calderoli, che non salta un’elezione; e poi tantissime persone sconosciute che dormono lì fuori per non perdere il posto. C’è gente famosa per noi ‘drogati di politica’ come Giuseppe Cirillo, che aveva iniziato col Partito delle Buone Maniere ed è arrivato al Partito della Follia Creativa, passando per Preservativi Gratis e Impotenti Esistenziali. Altri personaggi assidui sono Clemente Mastella e Mirella Cece, quella che da molti anni si presenta con il Partito del Sacro Romano Impero”.
Quanti di loro riescono a finire sulle schede elettorali?
“In realtà pochi. Abbiamo calcolato un cosiddetto ‘tasso di mortalità simbolico’ che si aggira intorno all’80 per cento. Spesso i simboli vengono approvati perché semplicemente non sono confondibili e hanno tutta la documentazione in regola, ma da lì a raccogliere le firme necessarie ce ne passa”.
Per presentare una lista alle europee servono tante firme.
“30 mila in ognuna delle cinque circoscrizioni e almeno 3 mila in ogni regione, comprese Valle d’Aosta, Molise e Basilicata: quindi per essere dappertutto servono almeno 150 mila firme; ma c’è chi non deve raccoglierle in base alle norme in vigore. Per questo penso che a queste europee ne vedremo di tutti i colori, come è accaduto quattro anni fa. Alcuni, per presentarsi senza dover raccogliere le firme, si collegheranno ad altri partiti europei ‘gemelli’, si può fare a patto che quel partito sia rappresentato da almeno un parlamentare europeo e che ovviamente conceda l’affiliazione. Nel 2019 lo fecero il Partito Animalista Italiano e il Partito Pirata”.
Prima hai nominato Clemente Mastella. Ci sono uomini politici che grazie ai micro partiti restano sempre a galla. È un’arte?
“È una strategia sottile e molti maestri escono dall’eterna diaspora democristiana, a cui ho dedicato un podcast dal titolo “Scudo (in)crociato”. Sull’utilizzo di quel simbolo ci sono state decine di cause legali: chissà se un giorno qualcuno riuscirà a fare una somma dei soldi spesi in avvocati per ottenerlo. Uno dei ‘fuoriclasse’ è senza dubbio Gianfranco Rotondi: nel corso degli anni è riuscito sempre a farsi eleggere in partiti più grandi in rappresentanza del suo soggetto politico, la Democrazia Cristiana per le Autonomie, ed è diventato anche ministro in un governo Berlusconi. Oggi è eletto alla Camera dei Deputati con Fratelli d’Italia”. E non dimentichiamoci di Vittorio Sgarbi con le sue liste personali satelliti del centrodestra.
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Fonte : Today