AGI – Italiani “sonnambuli” e “ciechi” dinanzi ai presagi che parlano di una società ormai in crisi, che fa sentire sempre più “fragili” e “impotenti”. E dove i “rassegnati” sono “l’80,1% (l’84,1% tra i giovani) convinto che l’Italia sia irrimediabilmente in declino”. È quanto si legge nel 57esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2023. “Alcuni processi economici e sociali largamente prevedibili nei loro effetti – si legge nel report – sembrano rimossi dall’agenda collettiva del Paese, o sono comunque sottovalutati.
Benché il loro impatto sarà dirompente per la tenuta del sistema, l’insipienza di fronte ai cupi presagi si traduce in una colpevole irresolutezza”. “La società italiana sembra affetta da ‘sonnambulismo’, precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali dagli esiti funesti” prosegue il documento.
E i dati parlano chiaro: “Nel 2050 l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti (come se le due più grandi città, Roma e Milano insieme, scomparissero). La flessione demografica sarà il risultato di una diminuzione di 9,1 milioni di persone con meno di 65 anni (in particolare, -3,7 milioni con meno di 35 anni) e di un contestuale aumento di 4,6 milioni di persone con 65 anni e oltre (in particolare, +1,6 milioni con 85 anni e oltre). Si stimano quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno nel 2050: una scarsità di lavoratori che avrà un impatto inevitabile sul sistema produttivo e sulla nostra capacità di generare valore”.
Ma il ‘sonnambulismo’, sostiene il Censis, “non è imputabile solo alle classi dirigenti: è un fenomeno diffuso nella ‘maggioranza silenziosa’ degli italiani. Resi più fragili dal disarmo identitario e politico, al punto che il 56% (il 61,4% tra i giovani) è convinto di contare poco nella società. Feriti da un profondo senso di impotenza, se il 60,8% (il 65,3% tra i giovani) prova una grande insicurezza a causa dei tanti rischi inattesi. Delusi dalla globalizzazione, che per il 69,3% ha portato all’Italia più danni che benefici”.
La fotografia del Censis è di un Paese dalle mille meraviglie, se ammirato dall’alto delle lussuose terrazze cittadine o degli strapiombi sul mare, ma invischiato in tutte le sue arretratezze, se vissuto dal basso. Prevale quello che viene definito “l’arrangiamento istintivo” rispetto a un “disegno razionale” dove ormai quel “meccanismo di promozione e mobilità sociale si è usurato”.
In poche parole, sostiene il Rapporto, “tra vitalità disperse e un confronto pubblico giocato su emozioni di brevissima durata, la società italiana trascina i piedi”. Dal Report emerge una società che non riesce ad avviare un nuovo ciclo e che cerca di sostituire “il modello di sviluppo costruito a partire dagli anni ’60 nel quale si rivendicava il lasciar fare” o “il riconoscimento delle identità e dei diritti collettivi” con un nuovo modello “confuso”. Quale? Il Censis sostiene che oggi si punta più al “lasciar essere, l’autonoma possibilità – specie per le giovani generazioni – di interpretare lavoro, investimenti, coesione sociale, senza vincoli collettivi”.
Affitti sempre più cari per ‘colpa’ dei turisti
Sfogliano i singoli capitoli di un racconto per dati e statistiche, si scopre che affittare un alloggio costa il 9,1% in più rispetto al 2022. La difficoltà di trovare una casa in affitto o in proprietà a prezzi accessibili è una criticità del territorio. Alla base di questa problematica vi è anche l’aumento dei flussi turistici. Il cui impatto nelle città italiane non sembra possa attenuarsi nei prossimi anni. Tra il 2021 e il 2022 nelle grandi città le presenze turistiche sono più che raddoppiate (+104,4%), sebbene il numero dei clienti degli esercizi ricettivi resti ancora sotto la soglia del 2019.
Salari diversi per genere
Il Censis analizza anche le retribuzioni egli italiani e il divario di genere pesa nelle tasche dei lavoratori. Fatto 100 il salario di un uomo 25-34enne, il salario di una donna della stessa età è pari a 90 tra chi possiede al massimo il titolo secondario di primo grado, a 85 con diploma di scuola secondaria di secondo grado, a 89 con l’istruzione terziaria.
L’Italia del futuro sarà più anziana
Gli anziani rappresentano oggi il 24,1% della popolazione complessiva e nel 2050 saranno 4,6 milioni in più: raggiungeranno un peso del 34,5% sul totale della popolazione. Gli anziani di domani saranno sempre più senza figli e sempre più soli. Il censis sottolinea che il numero medio dei componenti delle famiglie scenderà da 2,31 nel 2023 a 2,15 nel 2040. Le coppie con figli diminuiranno fino a rappresentare nel 2040 solo il 25,8% del totale, mentre le famiglie unipersonali aumenteranno fino a 9,7 milioni (il 37,0% del totale). Di queste, quelle costituite da anziani diventeranno nel 2040 quasi il 60% (5,6 milioni). Nel 2021 gli anziani con gravi limitazioni funzionali erano 1,9 milioni: il 13,7% del totale degli anziani e il 63,1% del totale delle persone con limitazioni in Italia. Secondo le stime, nel 2040 il 10,3% degli anziani continuerà ad avere problemi di disabilità. Rimane quindi sul tappeto la questione ineludibile del bisogno assistenziale legato agli effetti epidemiologici dell’invecchiamento demografico.
Il 65,3% degli anziani ritiene che la pensione percepita da sola non sia in grado di garantire il benessere nella terza e quarta età. L’84,6% dei longevi ritiene che per garantirsi una vecchiaia serena sia fondamentale investire i propri risparmi. Oggi il 41,0% degli anziani risparmia regolarmente e il 28,0% di tanto in tanto. Del resto, gli anziani spesso continuano a garantire un supporto economico a favore dei familiari più giovani, figli e nipoti. Nell’ultimo anno lo ha fatto il 42,0% degli anziani.
Internet più dell’acqua. Gli italiani lo vogliono gratis
L’88,7% degli italiani considera la connettività a internet un diritto dei cittadini al pari della tutela della salute o della previdenza. L’80,8% è convinto che l’accesso al web dovrebbe essere gratuito (solo il 19,2% è contrario. Ne sono particolarmente convinti i giovani (84,5%).
Secondo il 46,2% degli italiani il riconoscimento della connessione come un diritto, addirittura da garantire gratuitamente a tutti, andrebbe finanziato con un’adeguata compartecipazione economica da parte dei grandi generatori di traffico sulla rete, come Google e Meta, mentre per il 34,6% bisognerebbe attingere alla fiscalità generale. Il 10,9% è invece contrario al ricorso al fisco e per l’8,3% ciascun utente dovrebbe pagarsi per intero la propria connessione. Il 67,6% degli italiani sostiene che, se le nuove tecnologie saranno facili da usare per tutti, potranno dare un grande contributo alla riduzione delle disuguaglianze sociali. L’85,8% reputa importante che sia diffusa un’informazione scientifica di facile comprensione per tutti sugli effetti delle nuove tecnologie.
La webtv cresce più della tradizionale
Nel 2022 si registra una contrazione del numero di telespettatori della tv tradizionale (il digitale terrestre: -3,9% rispetto al 2021), una lieve crescita dell’utenza della tv satellitare (+1,4%), il forte rialzo della tv via internet (web tv e smart tv arrivano al 52,8% di utenza, ovvero oltre la metà della popolazione: +10,9% in un anno) e il boom della mobile tv (che è passata dall’1,0% di spettatori nel 2007 al 34,0% di oggi: più di un terzo degli italiani). La radio continua a rivelarsi all’avanguardia all’interno dei processi di ibridazione del sistema dei media.
Complessivamente, i radioascoltatori sono il 79,9% degli italiani (stabili da un anno all’altro), ma se la radio ascoltata in casa attraverso l’apparecchio tradizionale si attesta al 48,0% di utenza (-0,8% rispetto al 2021), l’autoradio sale al 69,0% (+4,6%, un incremento da legare alla cessazione delle limitazioni alla mobilità precedentemente imposte a causa dell’emergenza sanitaria), l’ascolto delle trasmissioni radiofoniche via internet con il pc è stabile al 20,4% e la fruizione del mezzo attraverso lo smartphone diventa sempre più rilevante: lo fa il 29,2% degli italiani (+5,4% in un anno). Si registra ancora un forte aumento dell’impiego di internet da parte degli italiani (l’88,0% di utenza: +4,5%) e di quanti utilizzano gli smartphone (l’88,0%: +4,7%). Lievitano complessivamente all’82,4% gli utenti dei social network (+5,8%). Invece i quotidiani cartacei, che nel 2007 erano letti dal 67,0% degli italiani, si attestano oggi al 25,4% (-3,7% in un anno e -41,6% in quindici anni). Si registra ancora una limatura dei lettori dei settimanali (-1,6%) e dei mensili (-0,6%).
I media tradizionali arrancano, esplodono i social tra i giovani
Gli utenti dei quotidiani online invece aumentano al 33,0% degli italiani (+4,7%), un numero comunque inferiore a quanti utilizzano i siti web d’informazione generici (il 58,1%: +4,3%). Gli italiani che leggono libri cartacei sono il 42,7% del totale, i lettori di e-book sono il 13,4%. Tra i giovani (14-29 anni), il 93,4% utilizza WhatsApp, l’83,3% YouTube, l’80,9% Instagram. Si osserva un forte incremento dei giovani utenti di TikTok (54,5%), Amazon (54,3%), Spotify (51,8%) e Telegram (37,2%). In flessione invece Facebook (51,4%) e Twitter/X (20,1%). Nel 2022 i telegiornali, pur mantenendosi in testa nella graduatoria dei mezzi utilizzati dagli italiani per informarsi, sono passati da una utenza del 60,1% al 51,2%. Facebook ha recuperato terreno: dal 30,1% al 35,2%. I motori di ricerca restano stabili al 23,4%. Ma gli italiani prendono le distanze dalla politica: erano il 39,7% le persone interessate a queste notizie nel 2021, sono il 32,4% nel 2022. Si è affievolita anche l’attenzione per le notizie di tipo medico-scientifico, prima alimentata dalla pandemia: gli interessati passano dal 33,4% al 25,5%. Stanchi di infettivologi e virologi in collegamento tv, le notizie relative a stili di vita, viaggi e cucina riconquistano il secondo posto nelle preferenze (29,5%). Sul podio torna lo sport, con il 27,5%, seguito dalla cronaca nera (25,8%). Fanalino di coda la politica estera (14,4%), che comunque cresce del 3,8% a causa degli eventi bellici. Mettendo a confronto i principali media, sia quando si parla di pandemia, sia quando si affronta l’argomento della guerra, il premio come mezzo d’informazione più affidabile è andato alla radio (70,3%). La televisione è considerata affidabile sulla pandemia dal 58,0% e sull’Ucraina dal 57,0%. La stampa trova consenso da parte del 55,7% per le notizie sulla pandemia e del 53,2% per quelle sulla guerra. La fiducia dell’opinione pubblica premia ancora di gran lunga la radio, la televisione e la stampa rispetto alla credibilità attribuita a web e social network.
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Fonte : Agi