In un mondo in cui la guerra è sempre più diffusa sui social con video e foto, si crea un terreno fertile per le tecniche di disinformazione. Dall’Ucraina prima al Medio Oriente adesso, diventa sempre più difficile capire cosa stia davvero succedendo sul campo e combattere le fake news. Ed è qui che le tecnologie possono rappresentare un valido strumento per contrastarle, come quelle messe in campo da Bellingcat e raccontate al Wired Next Fest di Firenze dal direttore della ricerca e della formazione dell’azienda, Giancarlo Fiorella. “Siamo un’organizzazione di ricerca investigativa che lavora con informazioni open source – racconta nel suo intervento in collegamento al Salone dei Cinquecento -. Noi prendiamo un video, per esempio proveniente dalla Striscia di Gaza, estrapoliamo le immagini, lo analizziamo e lo sfruttiamo per trarne dei fatti. È uno strumento che si è rivelato molto utile nel giornalismo ma anche in ambito legale, per trovare prove da presentare poi in tribunale”.
La tecnologia che raccoglie informazioni dai video pubblicati
La tecnologia può essere un’alleata soprattutto in un conflitto, come quello in corso sulla Striscia di Gaza tra Hamas e Israele, dove al 22 novembre si contano già 53 giornalisti uccisi. “Nessun posto è al sicuro nella striscia di Gaza – spiega Francesca Paci, oggi alla guida del desk politico del quotidiano La Stampa, che è stata corrispondente da Londra e da Gerusalemme prima di coprire, da inviata, il Medioriente -. È una porzione di terra molto stretta dove vivono più di due milioni di persone. Inoltre, siccome la Striscia è chiusa, possiamo affidarci ai giornalisti professionisti che sono già lì, ma alcuni sono civili che non si preoccupano di assumersi dei rischi. Nessuno è davvero al sicuro a Gaza, tutti sono in prima linea. Io stessa nel 2012 ero a Gaza e l’hotel dove alloggiavo insieme ad altri colleghi della stampa internazionale è stato colpito non intenzionalmente”.
E a chi si chiede quale sia il motivo dietro la pubblicazione di video e foto, anche molto violenti da entrambe le parti coinvolte nel conflitto, secondo Paci: “Per Hamas è un modo sia per esercitare pressione psicologica su Israele sia per avere supporto nella resistenza. Dal lato israeliano invece la pubblicazione di questi video è un modo per mostrare cosa è accaduto il 7 ottobre, per mantenere vivo il ricordo nell’opinione pubblica internazionale”. Quei video e quelle foto sono stati, seppur nella loro violenza e crudeltà, “utili” ai ricercatori per raccogliere informazioni, come dice Fiorella: “Abbiamo analizzato i video di Hamas, li abbiamo mappati, abbiamo visto da dove hanno lasciato Gaza, quali strade hanno percorso, in quali sezioni del muro sono riusciti a passare. Il fatto che questi video esistano è preoccupante, noi ne sconsigliamo la visione per la loro crudeltà e violenza, ma hanno permesso ai ricercatori di lavorare”.
A mostrare la distruzione oggi presente nella Striscia, ci pensa la Gaza Damage Proxy Map: “Pubblichiamo strumenti open source per portare avanti indagini in diverse regioni – prosegue Fiorella – in questo caso è stato creato uno strumento che paragona le immagini satellitari prese con dei radar e poi confronta quelle prima e dopo il 7 ottobre, focalizzandosi sui cambiamenti di pixel. Tramite questo algoritmo creiamo una mappa di calore che indica delle aree in cui questo strumento ha individuato delle variazioni di pixel, mostrando così il livello di distruzione a colpo d’occhio, determinando in modo efficace i danni presenti”.
Fonte : Wired