Per la religiosa, da 13 anni nella Striscia, la tregua ha permesso “di dormire un po’ di più, visitare i pochi negozi per qualche vestito invernale”. Servono cibo, medicinali, gasolio e “da nord a sud non vi è alcun posto sicuro”. Di quattro guerre “questa è la più sanguinosa”. Mancano prospettive per il futuro “soprattutto per i bambini”. Appello per un “Natale di pace”.
Milano (AsiaNews) – “Devastazioni ovunque, tutto è distrutto. In questi giorni di tregua, i cristiani ne hanno approfittato per andare a vedere le loro case: nessuno è tornato felice, perché non ne è rimasta una. Sono tutte ridotte a macerie o comunque inutilizzabili”. È quanto racconta ad AsiaNews suor Nabila Saleh, religiosa della congregazione delle suore del Santo Rosario, che approfittando in questi giorni della pausa nei bombardamenti dei caccia israeliani ha visitato ampie parti della Striscia. “Una tragedia ovunque – racconta al telefono, nonostante le difficoltà nelle comunicazioni e le frequenti interruzioni della linea – non è rimasto nulla in piedi e la sofferenza è dappertutto, in ogni strada e in ogni famiglia”.
La pausa temporanea nella guerra, prolungata in extremis da Israele e Hamas per altre 24 ore nonostante l’ala radicale del governo dello Stato ebraico (i ministri Ben-Gvir e Smotrich) parli di caduta dell’esecutivo in caso di mancata ripresa del conflitto, è servita per visitare parti di Gaza. “Si avverte un po’ meno tensione – sottolinea la religiosa di origini egiziane, da 13 anni nella Striscia – ma i segni dei bombardamenti e dei 58 giorni di guerra sono ben visibili”. Almeno la pausa, prosegue, “ci ha permesso di dormire un po’ di più, siamo riusciti a visitare i pochi negozi ancora aperti, chi ha potuto ha comprato qualche vestito invernale, che nessuno aveva, per ripararsi dal freddo che qui inizia a farsi sentire”.
I bisogni e le necessità sono enormi, spiega suor Nabila, soprattutto “il mangiare, gli abiti, il gas per il riscaldamento e per far funzionare i generatori di corrente”. La religiosa è anche preside della scuola delle Suore del Rosario di Gerusalemme, nella zona di Tel al-Hawa, la più grande della Striscia con i suoi 1250 alunni, in larghissima maggioranza musulmani. “All’interno – racconta – abbiamo un pozzo ma senza luce e corrente non riusciamo a prelevare l’acqua per lavarci, per soddisfare i bisogni minimi per l’igiene personale”.
Le “macerie” del conflitto divampato il 7 ottobre scorso con l’attacco di Hamas al cuore di Israele e la strage di civili, che ha innescato la durissima risposta dell’aviazione israeliana con bombardamenti incessanti e diffusi a Gaza sono “in ogni via e piazza. Vi è un clima di grande tristezza e paura – racconta suor Nabila – lenita solo in parte dalla pausa. Si cerca di pensare al futuro, oltre la guerra, ma qui non vi sono più case, scuole, manca il lavoro e non si intravedono prospettive, soprattutto per i giovani, i bambini”. “La parrocchia latina – spiega – si è spesa molto per dare un aiuto e la chiesa ha offerto rifugio e riparo a molti [sono quasi 700 gli abitanti di Gaza accolti dalla Sacra Famiglia, ndr], ma da nord a sud non vi è alcun posto sicuro”.
“Ad oggi non sappiamo quello che succederà – afferma la religiosa – ma resta in tutti la paura della guerra e di quello che potrebbe accadere nei prossimi giorni. In ogni momento si avverte il pericolo di poter morire. Ho sentito tanti racconti di madri in cerca dei figli dopo i bombardamenti, sono storie terribili. Come quella dell’anziana cristiana [colpita da un cecchino israeliano] il cui corpo è stato recuperato da alcuni giovani in un momento di tregua, poi hanno seppellito quello che era rimasto di lei, pregando. Sono storie difficili anche da raccontare, e ve ne sono molte come questa”.
E poi le vittime fra i più piccoli, i bambini, anche fra quanti frequentavano la scuola cristiana: “Tantissimi sono morti” conferma la religiosa, come nel caso “del padre che ne ha estratti due dalle macerie”. In questo contesto di sofferenza, morte e disperazione è “molto importante la vicinanza di papa Francesco” che quasi ogni giorno chiama la parrocchia o le religiose per avere informazioni, pregare, mostrare la solidarietà della Chiesa alla popolazione, cristiana e non, della Striscia. “Quelle telefonate – afferma suor Nabila – ci aiutano”. Da ultimo, con la comunicazione che si interrompe a più riprese, la religiosa vuole lanciare un appello: “Vogliamo la pace, basta con le violenze perché la popolazione ha già sofferto abbastanza. Abbiamo sperimentato quattro guerre e questa è certamente la più terribile e sanguinosa. Vogliamo la pace – conclude – perché con la guerra non c’è nessun vincitore. Speriamo tutti e preghiamo per l’arrivo delle medicine perché è in atto una tragedia anche a livello sanitario, sia garantito del cibo, degli aiuti e di poter festeggiare e celebrare un Natale di pace, soprattutto per i nostri bambini”.
Fonte : Asia