È morta Emanuela Perinetti, aveva 34 anni. Probabilmente l’avete letta qui, su Italian Tech o su Green & Blue; o l’avete vista sul palco dei nostri festival che moderava dei panel dedicati allo sport. Lo sport, e in particolare il calcio, erano la sua passione. L’avevo conosciuta nel 2009 quando lanciai Wired. Lei era a Seul, giovanissima, a fare un corso di specializzazione. Ai tempi Wired era una calamita irresistibile per i curiosi, gli innovatori, gli ottimisti. Emanuela rientrava in tutte e tre le categorie. Mi scrisse su Facebook e il suo modo di fare mi conquistò come poi ho visto conquistava tutti. Da allora mi aveva iniziato a chiamare “il mio direttore”, anche se non lo ero ma in un certo senso lo sarei diventato molti anni dopo. Nel 2011 lasciai Wired per fare mille altre cose e lei tornò in Italia per applicare quello che aveva imparato in Corea del Sud, soprattutto sul marketing e il digitale, alla sua passione sportiva. Quando nella primavera del 2021 sono tornato in GEDI per lanciare Italian Tech abbiamo finalmente iniziato a collaborare; e la collaborazione si è fatta più fitta quando ho preso anche la direzione di Green & Blue. Era assolutamente convinta che lo sport dovesse fare di più sul tema della sostenibilità e mi aiutò moltissimo lo scorso aprile a montare la petizione “capitani per il clima”, una raccolta firme per chiedere alla Lega calcio di far scendere in campo i capitani con una fascia dedicata al cambiamento climatico in occasione della Giornata della Terra. I capitani (Pessina, Berardi, Calabria) li chiamò e convinse tutti lei; e lo stesso fece con Del Piero, che per lei era solo Alex, e che solo per lei credo accettò di guidare la petizione. A giugno al Festival di Green & Blue ci incontrammo dopo tanto tempo e la vidi magrissima, pensai ad una dieta sbagliata, non potevo credere che stesse male, non con la sua vitalità, non con il suo buon umore. Abbiamo passato l’estate a mandarci messaggi sul nostro sogno di organizzare in Italia una partita di calcio carbon neutral. Lei aveva uno strano modo di mandare messaggi: erano solo vocali ed erano “a rate”, ogni dieci secondi chiudeva e ne aggiungeva un altro e poi un altro. Era snervante. Ricordo che a settembre glielo dissi e lei mi raccontò per la prima e ultima volta della sua malattia e di come l’entusiasmo in tutto quello che faceva la aiutasse a tenerla a bada. Ricordo che fu attenta a ribadirmi che non mi voleva spaventare, non mi voleva commuovere: me lo diceva solo per affetto, perché tanto ce l’avrebbe fatta. Ero choccato, ma pensai anch’io che ce l’avrebbe fatta.
Qualche sera fa speravo di rivederla. Allo stadio Olimpico giocava l’Italia e lei non si perdeva mai un match importante. Le scrissi: dove sei? E lei: “Con un cliente, per una volta gli ho dato la precedenza”. Era strano. Ora che è arrivata la notizia della sua morte improvvisa, penso che quel cliente fosse la morte e che lei semplicemente non me lo avesse voluto dire per non spaventarmi e non commuovermi e perché avevamo ancora un sacco di cose da fare.
Era una gran bella persona, Emanuela.
Fonte : Repubblica