Anche le emoji ci dicono qualcosa sul mondo in cui viviamo. Lo scorso anno la più popolare pare sia stata una faccina che trattiene le lacrime per la commozione. L’anno prima sempre una faccina, un po’ triste, con lo sguardo che chiede qualcosa, forse solo attenzione. E nel 2020, l’anno del Covid, una faccia che ride fine alle lacrime. Quest’anno è l’immagine di una fetta di anguria.
Se andate su Instagram le fette di anguria sono ovunque. Alcuni le usano come immagini del profilo ma il vero fenomeno avviene quando partono certe dirette o sotto certi post: allora i commenti sono un’invasione di fette di anguria. La fetta di anguria non è una improvvisa nostalgia dell’estate, ma un modo di manifestare solidarietà al popolo palestinese. Non ad Hamas, ovviamente, non ci dovrebbe neanche più essere bisogno di dirlo; ma alle donne, ai bambini, agli uomini uccisi o cacciati dalle loro case e dalla loro terra. Non è una moda di oggi. Dalla fine degli anni ‘60 l’anguria è diventato un modo per rappresentare la bandiera palestinese. Dopo la Guerra dei Sei Giorni infatti Israele aveva vietato l’esposizione della bandiera nei territori occupati; allora i palestinesi iniziarono ad usare la fetta di anguria, che ha gli stessi colori: verde, rosso, bianco e nero. Nel 1993, dopo gli accordi di Oslo, il divieto venne ammorbidito ma l’anguria è rimasto un simbolo di resistenza. Ai tempi non c’era il web e l’anguria era stampata sulle magliette e sui quadri degli artisti.
Sono passati trent’anni e l’anguria è diventata social: oggi se volete davvero capire quello che accade a Gaza, se volete vedere i volti della disperazione, se volete capire che dietro i freddi numeri del conto dei morti ci sono esseri umani, dovete andare su Instagram dove decine di giovani e coraggiosi cronisti documentano quelli che i grandi giornali e le tv non dicono. Lì le fette di anguria crescono ogni giorno.
Fonte : Repubblica