AGI – È tornata a casa con l’auto della Polizia che l’ha dovuta proteggere da una folla inferocita, pronta a scagliarsi contro di lei. Ed è anche rimasta sotto sorveglianza per tutta la notte scorsa. La ‘colpa’ di Viviana Pellegrini, avvocato penalista di Rimini, è stata quella di aver difeso, evidentemente in modo efficace, Raffaele Fogliamanzillo, 62 anni, accusato di aver ammazzato l’anno scorso la moglie coetanea, Angela Avitabile, con una ventina di fendenti mentre i nipotini giocavano in una stanza attigua.
Intervistata da AGI, l’avvocato Pellegrini ripercorre il caso che l’ha prepotentemente messa al centro delle polemiche nonché l’“intollerabile aggressione” dei parenti e delle associazioni femminili, subita dopo la pronuncia del giudice, in aula e all’uscita del Tribunale.
La morte di Angela Avitabile
Il suo racconto, dopo la drammatica morte di Giulia, in un momento di grande tensione nazionale sul problema della violenza di genere, riaccende i riflettori su uno dei femminicidi più clamorosi dell’anno scorso: un caso di violenza coniugale efferata che, alla luce del dibattito attuale, da adito a diverse riflessioni.
Fogliamanzillo, reo confesso, finisce alla sbarra per aver massacrato la moglie con 22 coltellate. Nel suo passato e presente ci sono varie difficoltà lavorative, episodi depressivi conclamati (era già considerato un soggetto a rischio di suicidio) e un rapporto coniugale conflittuale. “Era in cura dal 2012 presso il centro di salute mentale di Rimini – rammenta l’avvocato – dove effettuava incontri regolari con specialisti e gli venivano prescritti i trattamenti per la cura della sua sindrome paranoide-ossessiva”.
Come hanno confermato negli anni i referti medici e, in ultimo, la relazione dello psichiatra nominato dalla procura di Rimini, Renato Ariatti, l’uomo “da tempo presentava un delirio paranoide” riferito al sospetto infondato che la moglie lo tradisse. Un quadro clinico che lo ha portato ad “autoconvincersi” del comportamento fedifrago della donna arrivando a “un vero e proprio delirio”.
Dopo precedenti episodi di violenza domestica e di delirio ossessivo, ricorda ancora l’avvocato, “avrebbe dovuto sottoporsi a un Tso, ma i medici lo avevano trovato in condizioni relativamente buone consentendogli sia di continuare a stare in casa, che di operarsi le cataratte prima di effettuare il trattamento sanitario obbligatorio”.
Nella voce dell’avvocato Pellegrini è ancora viva la tensione per la causa che ha dibattuto appena 48 ore fa con successo (per il suo cliente) ma non senza lasciare sul banco pesanti interrogativi. Mentre parla è un fiume in piena: “Sono molti i responsabili della morta di Angela Avitabile”, dice con rammarico mentre traccia il profilo di una donna esasperata da anni di controllo ossessivo, gelosie immotivate e accuse infondate di tradimento.
Dopo la chirurgia, infatti, l’uomo a suo dire torna “a vedere chiaro” tanto da riuscire finalmente a scorgere, sulla terrazza di casa, il presunto amante della moglie. “Una cosa che non stava né in cielo né in terra”, afferma l’avvocato. Ma è bastata a scatenare l’ennesima scenata, questa volta con l’epilogo di follia omicida perché la donna, esasperata, ammette di averlo tradito dandogli del “cornuto” e firmando così la sua condanna.
La ritrova poco dopo la figlia, in una pozza di sangue. I nipotini, abituati al trambusto, evidentemente non si erano accorti dell’accoltellamento che lo stesso Fogliamanzillo, tra le lacrime e in stato semi confusionale, confessa a stretto giro ai carabinieri.
“Non siamo noi a creare persone con problemi mentali”, ribadisce Pellegrini sottolineando che “la gelosia, quando è malata e si trasforma in rabbia, ossessione e delirio, diventa una patologia mentale tale da dovere includere un art. 88 (cod. pen.) ovvero un vizio totale di mente al quale deve seguire un’assoluzione” per capacità d’intendere e di volere. “La gelosia patologica, continua, va accettata e soprattutto curata”.
Il processo e le reazioni
Ai sensi dell’art. 88 Raffaele Fogliamanzillo il 26 novembre, a distanza di sette mesi dal reato commesso, è stato assolto in primo grado, come aveva chiesto anche il pubblico ministero, perché ritenuto ‘non imputabile per totale incapacità di intendere e volere’ e dovrà passare i prossimi 20 anni in una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Per la famiglia della vittima e per le associazioni che si sono costituite parte civile, in aula con le t-shirt ‘Giustizia per Angela’, “la colpevole però sono io”, dice Pellegrini, ‘accusata’ dopo l’arringa di mancanza di rispetto nei confronti delle donne.
“In Aula, precisa il legale, non ho utilizzato il termine ‘femminicidio’ perché non è ancora contemplato nel nostro codice e mi faccio chiamare ‘avvocato’, perché non ho bisogno di una ‘a’ per dimostrare chi sono”.
Pellegrini è stata sepolta da urla e fischi, presa di mira da insulti e minacce tanto da richiedere l’intervento delle forze dell’ordine che l’hanno riportata a casa con la volante, incolume ma scioccata per l’accaduto. “Fuori dal Tribunale – racconta – è andata in scena un’inedita esplosione di rabbia da parte di chi chiedeva l’ergastolo: ho visto calciare e lanciare oggetti come mai mi era successo prima, in altri casi simili. Ho avuto paura”.
Anche la Camera Penale di Rimini, in una nota, ha espresso sostegno alla collega e condannato con fermezza l’aggressione dopo aver chiarito che “la presenza attiva del difensore nel processo, anche per l’imputato ‘macchiato’ dalle accuse più gravi, è ciò che consente a ogni cittadino di poter vivere in uno Stato libero”.
Il caso Turetta
A scatenare l’ira degli amici della vittima e dei famigliari guidati da Anna, la figlia della coppia, è stato soprattutto il riconoscimento dell’infermità mentale a un uomo contemporaneamente giudicato capace di stare in giudizio, “ma con la sua versione difensiva dei fatti”, spiega l’avvocato, evidenziando come legalmente una cosa non possa escludere l’altra. Certo è che l’assoluzione in primo grado di Fogliamanzillo, contro cui i parenti della vittima faranno appello, è destinata a far discutere alla luce della confessione di Filippo Turetta, in lacrime (esattamente come Raffaele) di fronte al gip.
Anche se non è stata chiamata in causa a difesa di Turetta, Pellegrini non esclude che il ragazzo, ugualmente affetto da una gelosia malata e ossessiva, possa essere prosciolto in sede processuale. “Non ne sarei meravigliata e non lo escludo assolutamente – dice – perché le conseguenze di una gelosia paranoide possono anche cancellare la premeditazione. Questi casi sono tanto patologici quanto reali, e dare la colpa al patriarcato, un concetto a mio avviso creato sulla base di equivoci concettuali e linguistici, dà solo un risultato controproducente: mettere le donne contro gli uomini”.
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Fonte : Agi