Per il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia, Fatih Birol, il pericolo di un nuovo shock petrolifero è reale. Lo scenario internazionale è percorso da profonde fratture che potrebbero minare la conclusione di accordi efficaci per contrastare il cambiamento climatico alla COP28 di Dubai
“La crisi [in Medio Oriente ndR.] potrebbe causare un nuovo shock petrolifero molto profondo perché tanti paesi produttori di combustibile si trovano in quella regione”. Vanno alla guerra tra Israele e Hamas le prime parole che Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia, pronuncia alla conferenza stampa di presentazione del World Energy Outlook 2023. Sono passati 50 anni dalla crisi petrolifera del 1973, causata dal conflitto arabo-israeliano. Il pericolo che le tensioni si acuiscano ancora di più nella regione è molto presente e questo potrebbe avere conseguenze importanti sul mix energetico del futuro e minare il successo della COP28, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite, che si svolgerà a Dubai tra poche settimane, a partire dal 30 novembre.
Il ruolo centrale del Medio Oriente nel futuro sistema energetico globale
Il picco delle fonti fossili verrà raggiunto prima del 2030. Una notizia positiva anche se, precisa Birol, questo non avverrà allo stesso modo in tutti i Paesi. “Il consumo di petrolio e gas crescerà nelle economie emergenti e in via di sviluppo. Useremo ancora quelle fonti, anche se molto meno rispetto a oggi”.
In Medio Oriente si trovano cinque dei dieci maggiori produttori di greggio al mondo (Arabia Saudita, Iraq, Emirati Arabi Uniti, Iran e Kuwait) e tre dei dieci più importanti produttori di gas naturale (Iran, Qatar e Arabia Saudita). “Il commercio mondiale di petrolio e gas è destinato a concentrarsi sempre più sui flussi tra Medio Oriente e Asia” si legge nel rapporto dell’IEA, con una rotta commerciale che rappresenterà circa il 40 percento del commercio globale di petrolio e gas nel 2030 e il 45 percento nel 2050. Dall’altra parte, la Russia non tornerà più al volume totale di gas esportato che raggiungeva prima della guerra in Ucraina, scoppiata nel febbraio 2022.
L’invasione russa e adesso la crisi nel contesto mediorientale sottolineano l’instabilità dei mercati di petrolio e gas e mettono in luce la necessità di pensare alla sicurezza energetica diversificando il più possibile le fonti presenti nel mix energetico di ogni Paese.
Incoraggianti novità nel settore energetico ma non è abbastanza per limitare l’aumento delle temperature
Secondo il World Energy Outlook 2023, stiamo andando verso un mondo in cui, se i governi mantenessero le intenzioni politiche attuali, entro il 2030 potremmo avere quasi 10 volte il numero di auto elettriche sulle strade di tutto il mondo; il settore fotovoltaico produrrà più elettricità di quanta a oggi ne produce tutto il sistema energetico degli Stati Uniti; le rinnovabili rappresenteranno il 50% del mix energetico globale; i sistemi di riscaldamento elettrico saranno preferiti a quelli alimentati con combustibili fossili; aumenteranno gli investimenti verso progetti eolici offshore.
Ma tutto questo non è sufficiente per limitare l’aumento della temperatura media globale a 1.5 gradi fissato dall’Accordo di Parigi. Se le cose non cambieranno, in questo secolo potremmo assistere a un aumento della temperatura globale di 2.4 gradi rispetto ai livelli pre-industriali. Un aumento che porterà a eventi estremi sempre più frequenti e intensi.
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Il ruolo fondamentale delle Conferenze sul clima: i 5 obiettivi proposti dall’IEA
Le conferenze globali sul clima delle Nazioni Unite (Cop) giocano un ruolo fondamentale e l’attuale instabilità della regione mediorientale potrebbe mettere in pericolo il raggiungimento di accordi significativi.
Affinché la COP28 di Dubai possa considerarsi un successo, ha affermato Fatih Birol alla fine della conferenza, bisognerà raggiungere un accordo su 5 obiettivi da realizzare entro il 2030. Occorrerà triplicare la produzione di energia rinnovabile, ridurre le emissioni di metano del 75 percento e diminuire l’uso delle fonti fossili. I Paesi in via di sviluppo dovranno essere supportati nelle transizione energetica prevedendo appositi meccanismi finanziari.
Rafforzare integrazione e commercio per limitare il riscaldamento globale
“Un rischio particolare è che le linee di divisione che svantaggiano i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo possano diventare radicate, limitando la loro capacità di accedere ai finanziamenti e di partecipare alle catene di approvvigionamento globali” è il monito dell’IEA.
A questo si aggiunge il pericolo di un nuovo shock petrolifero.
Davanti a questo scenario, l’Agenzia internazionale dell’energia avverte che, senza la cooperazione internazionale, “le possibilità di limitare il riscaldamento globale a 1,5 ºC si allontanano all’orizzonte e si perdono di vista”. L’espansione dell’energia rinnovabile, in linea con lo scenario di emissioni zero entro il 2050, non sarà possibile se i Paesi sceglieranno l’isolamento rispetto all’integrazione e al commercio.
“Né sarà possibile impedire che la strada da percorrere sia sempre più accidentata e pericolosa dal punto di vista della sicurezza energetica se i Paesi inizieranno a perdere i benefici dei mercati interconnessi come mezzo per far fronte ai cambiamenti nella domanda e nell’offerta e per superare gli shock imprevisti”.
Il cambiamento climatico non farà che peggiorare la situazione rappresentando “una minaccia sempre più significativa nei prossimi decenni, allargando qualsiasi frattura negli affari internazionali nel processo. Tutto questo sottolinea l’importanza vitale di raddoppiare la collaborazione e la cooperazione, non di allontanarsi da essa”.
Fonte : Sky Tg24