A inizio novembre OpenAI, azienda celebre per aver reso disponibile la piattaforma ChatGPT, ha annunciato la possibilità di realizzare, con enorme facilità e senza la necessità di programmare, delle versioni personalizzate del suo celebre chatbot, modificandone il comportamento standard e ampliando la base di conoscenza da cui andare ad attingere informazioni.
Chiunque può quindi realizzare con pochi click una sua versione personalizzata di ChatGPT e in futuro potrà anche monetizzare l’utilizzo che gli utenti faranno del suo chatbot. Così un cuoco potrà realizzare un sistema in grado di suggerire ricette e preparazioni provenienti dai suoi libri, oppure un illustratore potrà rendere disponibile un generatore di immagini in grado di replicare il suo stile, il tutto in modo gratuito oppure a pagamento.
Grazie a questa possibilità, nei giorni scorsi ho realizzato un mio chatbot personale che, nelle intenzioni, dovrebbe essere in grado di conversare con gli utilizzatori su tematiche come la tecnologia, l’innovazione e il futuro, ma ovviamente portando, per quanto possibile, il mio pensiero e il mio punto di vista. Per ottenere questo risultato ho fornito alla macchina molto materiale prodotto da me negli ultimi due anni, compresi moltissimi articoli e anche un paio di capitoli del mio ultimo libro Vite Aumentate.
Chi volesse provare il mio chatbot MaxGPT può trovarlo a questo link.
Al di là dei tecnicismi è interessante notare come questa iniziativa di OpenAI apra la strada non soltanto alla personalizzazione dei comportamenti, ma anche alla facilità con cui in futuro sarà possibile addestrare questi strumenti con basi di conoscenza di tipo diverso, fino ad arrivare all’addestramento basato su tutto quello che si conosce di una persona, dai contenuti pubblici fino alle interazioni private, in modo da realizzarne un vero e proprio clone digitale.
Proviamo ad immaginare di addestrare uno di questi strumenti con tutto il materiale prodotto da un autore, i suoi libri, i suoi articoli, le interviste, i contenuti audio e video disponibili online. Potremmo essere in grado di ottenere un chatbot in grado di rispondere alle nostre sollecitazioni esattamente come farebbe l’autore originale, con lo stesso stile e con gli stessi contenuti. Chiaramente otterremmo un clone limitato esclusivamente alla sua figura pubblica, perché basato sui contenuti disponibili al pubblico e non quelli relativi alla sfera privata.
Ora immaginiamo di aggiungere alla base di conoscenza del nostro chatbot anche tutto il materiale privato che abbiamo a disposizione: diari, quaderni, lettere, registrazioni audio e video fatte in famiglia, ecc. Il nostro chatbot inizierebbe ad avere, almeno con i familiari, degli atteggiamenti più intimi e delle conversazioni più legate alla sfera personale.
Infine proviamo a pensare di uscire dal perimetro testuale del semplice chatbot e di dotare questo strumento di una voce e di un volto, magari catturati abilmente dagli stessi algoritmi di intelligenza artificiale che in precedenza hanno analizzato i contenuti audio e video.
Otterremmo una simulazione digitale in video del nostro autore, enormemente somigliante dal punto di vista fisico e in grado di conversare con noi in linguaggio naturale, con la stessa voce dell’autore originale e utilizzando concetti, contenuti, stile di conversazione e tono di voce identici all’originale.
Otterremmo un clone digitale dell’essere umano di partenza, la cui somiglianza nei comportamenti e nei contenuti sarebbe proporzionale esclusivamente alla quantità di materiale che saremmo in grado di recuperare e di riversare all’interno della base di conoscenza della macchina.
Questo significa che più materiale sarà disponibile, più il clone sarà efficiente, fino ad arrivare potenzialmente ad avere un comportamento molto simile a quello dell’essere umano di partenza, e di conseguenza a replicare non soltanto le conversazioni, ma anche le riflessioni e i pensieri più intimi.
Seppure dal punto di vista tecnico questi aspetti possono apparire davvero interessanti, dal punto di vista etico questo apre nuovi scenari che meritano forse più di una riflessione.
Saremo infatti in grado di produrre cloni digitali di persone scomparse e di conseguenza potremo conversare con loro come se fossero ancora tra noi, e la qualità della “clonazione” dipenderà esclusivamente dalla quantità e qualità dei dati che potremo fornire alla base di conoscenza.
Molti oggi dichiarano di rifiutare categoricamente questa possibilità, ma sappiamo bene che sotto l’effetto del dolore causato dalla perdita di un amico o di un familiare, certe scelte potrebbero cambiare e con tutta probabilità si creerà un nuovo mercato di cloni digitali. Avatar virtuali molto somiglianti alle persone scomparse, con i quali conversare come se queste fossero ancora in vita.
Tutto questo apre nuovi scenari e, come al solito, nuovi interrogativi.
Fonte : Repubblica